Chi ricorda un romanzo, allora di molto successo, pubblicato da David Leavitt nel 1998 e intitolato While England Sleeps (Mentre l’Inghilerra Dorme)? Non i contenuti del romanzo (un amore impossibile negli anni della guerra di Spagna e della preparazione del secondo conflitto mondiale), ma il suo titolo si applicano a pieno alla situazione di queste settimane. Già il 7 gennaio, su queste pagine ho sottolineato come le tensioni in corso tra Congresso americano e Casa Bianca rischiano di avere implicazioni gravissime sull’Europa, soprattutto sui paesi che non avranno un Governo (quindi, un timoniere) forte nei “giorni della verità”.
I maggiori Stati europei sono alle prese con le loro vicende interne: Italia e Germania con elezioni (imminenti nel primo caso, non così lontane nel secondo), la Francia con le difficoltà di fare ingoiare le ricette del nuovo Esecutivo all’Assemblea Nazionale, la Gran Bretagna con il dibattito se restare o meno in una traballante Unione europea, la Spagna, il Portogallo e la Grecia con il terrore dell’insolvenza e le proteste crescenti nei confronti dei programmi di austerità. Rispetto alla vera e propria battaglia oltreoceano, pare che l’Europa dorma, non utilizzi neanche il cannocchiale e non legga i rapporti dalle Ambasciate a Washington.
Eppure basta leggere le proposte che vengono fatte tra Capitol Hill e Casa Bianca per rendersi conto che l’Esecutivo non vuole concedere i tagli immensi richiesti dai parlamentari ai programmi di spesa in materia di sanità e sociale. Il Congresso, dal canto suo, non accenna a fare marcia indietro. È possibile che, per una serie di ragioni, il “tetto” al debito e all’indebitamento venga raggiunto verso il 15-20 febbraio, un po’ prima del previsto.
La Casa Bianca sta cercando di ricorrere ai ripari con scorciatoie. Una proposta consiste nel continuare a emettere titoli anche una volta toccato il “tetto”: Obama, però, andrebbe contro la Costituzione (e potrebbe trovarsi sotto accusa per “alto tradimento”). Altra idea è quella secondo cui il Tesoro farebbe un maxi-acquisto di monete di platino ed emetterebbe titoli garantiti da questo “tesoretto”: saremmo al livello dei film di James Bond. Più plausibile è il rifinanziamento di parte del debito con registered warrant senza interessi – sono stati utilizzati nel luglio scorso dalla California sull’orlo della bancarotta -, ma inquinerebbero l’intero debito federale. Che programmi di questa natura vengono discussi vuol dire che a Washington si è giunti alla frutta. E che è probabile una crisi politica tra Congresso e Casa Bianca con pertinente crisi finanziaria.
Essa si situerebbe in un contesto in cui, secondo alcune stime, il debito, fortemente concentrato negli Usa e nell’Eurozona, sarebbe arrivato al 340% del Pil mondiale. Uno scossone forte in America, lo sarebbe ancora di più in Europa. Il Capo Economista di Renaissance Capital (uno dei maggiori fondi con base a Londra), Charles Roberston , si dice convinto che entro il 2014 la Grecia lascerà la scialuppa dell’euro e che la Spagna (dove il tasso di disoccupazione supera il 25% e si prospettano altri due anni d’impoverimento delle famiglie) adotterà una politica keynesiana (piaccia o non piaccia all’Ecofin e alla Bce). Pochi hanno notato il vero e proprio caos in Portogallo: il Capo dello Stato, Anibal Cavaco Silva, ha sottoposto la legge di bilancio alla valutazione della Corte Costituzionale per verificare se le misure anticrisi contenute nel testo siano conformi alla Carta, soprattutto in tema di equità della distribuzione dei sacrifici. Il Presidente del Consiglio, Pedro Passos Coelho, è esponente dello stesso partito di Silva.
La bomba americana avrebbe effetti su un’eurozona che pare in via di spappolamento (nonostante le parole rassicuranti che giungono da Bruxelles e da Francoforte). Il fragore sarebbe particolarmente forte in un’Italia con un debito pubblico elevatissimo e priva di Governo almeno sino a fine marzo. Cosa auspicare? Se uno dei maggiori partiti avrà una forte maggioranza sia alla Camera, sia al Senato dovrà prendere misure drastiche di tagli alla spesa pubblica (ormai il carico tributario è un freno alla crescita), di incoraggiamento della produttività, di promozione dell’aumento delle dimensioni d’impresa e di riforme dell’apparato politico-amministrativo per ridurne il peso sull’economia. Se la maggioranza che uscirà delle urne non sarà così forte e così compatta, si dovrà andare a un Governo di coalizione coeso sul programma, una “Grande Coalizione” anche liberandosi di alcune correnti interne agli attuali soggetti politici.
Se l’Europa dorme, noi non possiamo permettercelo.