L’Irlanda, gioco forza, ha dovuto dire “sì” al Trattato di Lisbona: non aveva alternativa, la crisi sta mordendo troppo la ex Tigre celtica per potersi permettere, per la seconda volta, di esprimere liberamente il proprio pensiero. Serve, a Dublino, lo scudo dell’euro per attraversare un autunno che sarà pesante, molto pesante: disoccupazione alle stelle, tagli necessari praticamente a tutte le voci della spesa sociale per evitare che il rischio di default sul debito si tramuti in realtà, indebitamento delle famiglie verso le banche al 190% del reddito medio. No, non è il tempo di soluzioni avventate. Speriamo che ora l’Ue, ottenuto ciò che voleva, si metta seriamente al lavoro per trovare soluzioni e non soltanto per organizzare comitati ristretti di burocrati.
Chi ha lavorato, senza guardare in faccia nessuno, è invece l’organo di controllo del Tesoro Usa che ieri ha emanato un comunicato decisamente sconvolgente: lo scorso anno la situazione bancaria degli istituti statunitensi è stata volontariamente dipinta come migliore della realtà al fine di poter vendere il piano di intervento pubblico come «un programma per istituzioni sane», usando le parole di Ben Bernanke, capo della Fed, dell’ottobre di un anno fa. Insomma, il Tesoro Usa ha venduto bugie mettendo a repentaglio la vita stessa di alcune istituzioni e incrinando in maniera grave la fiducia della gente una volta che si sparse l’impressione – poi divenuta certezza – che l’intervento pubblico non era sufficiente.
A dirlo non una genere fonte d’accusa ma Neil Barofsky, ispettore generale del Tesoro per il Tarp. Insomma, c’è poco da stare allegri quando le istituzioni mentono sapendo di mentire. Anche perché con tutti i miliardi spesi nei salvataggi delle banche, il Tesoro americano ha accumulato deficit di bilancio per 9 trilioni di dollari (9 mila miliardi). Soldi che gli Stati Uniti devono farsi prestare. Come è noto: emettendo Buoni del Tesoro ad interesse crescente ogni trimestre e sperando che qualcuno li compri per i prossimi dieci anni.
Fino a poco fa, Cina e Giappone compravano a mani basse, insomma prestavano il denaro al loro massimo debitore affinché continuasse a comprare le loro merci. Questo almeno fino a quando il dollaro era ritenuto una moneta sicura, la riserva internazionale per eccellenza. Oggi le cose non stanno più così, gli investitori esteri hanno abbassato radicalmente i loro investimenti nei BOT americani: dai 159 miliardi di dollari acquistati nel primo trimestre sono scesi a 101 miliardi nel secondo. E la Fed è corsa ai ripari con il più classico dei giochi delle tre carte: ha comprato con denaro creato dal nulla il 50% dei titoli emessi dal Tesoro Usa.
L’America, quindi, sta comprando il proprio debito prestandosi da sola i soldi: peccato lo faccia con denaro che non esiste e ponendo le basi per un’ondata spaventosa di iper-inflazione. Evviva, c’è proprio da stare allegri. Ma qualcun altro continua a credere al sistema Usa e nelle potenzialità dei titoli bancari che lo sottendono, per l’esattezza Goldman Sachs che ieri ha trionfalmente reso noto agli investitori che l’attuale valore di mercato dei titoli del comparto non rispecchia il reale potere di guadagno delle stesse, cresciuto ben del 39% in questo ciclo rialzista.
Qualcuno, purtroppo, ci cascherà e si lancerà sul mercato in attesa che la correzione reale dei corsi arrivi: si parla del 10-16% di perdita di valore nel mese di ottobre anche se molti analisti continuano a ritenere quello in cui ci troviamo un mercato del “toro”. In compenso, Bank of America è alla ricerca di un successore d’emergenza, nel caso in cui il suo amministratore delegato, Kenneth Lewis, lasciasse l’incarico alla fine di quest’anno per problemi giudiziari.
Lo scrive il Wall Street Journal, sottolineando che il Consiglio direttivo di questa settimana ha eletto un nuovo direttore ”di emergenza” nel caso Lewis sia costretto a lasciare l’istituto prima del previsto per una indagine del Procuratore Generale: l’organismo di controllo di Borsa degli Stati Uniti (Sec) lo accusa di non aver adeguatamente informato i suoi azionisti del pagamento di 5.800 milioni di dollari in bonus ai dirigenti di Merrill Lynch. Ecco le straordinarie doti morali e operative del comparto, sui cui titoli Goldman si dice certa che sia giunto il momento di scommettere massicciamente: ad occhio e croce, a meno che non abbiate un milione di dollari per entrare in un hedge fund e speculare a breve, vi conviene lasciar perdere.
D’altronde tutto questo non deve stupire: stando a queste logiche, infatti, l’innalzamento del rating dei titoli Fiat da parte di Morgan Stanley, con il target price addirittura raddoppiato nonostante gli analisti del settore auto motive parlino di un autunno da incubo in arrivo per vendite e immatricolazioni, parla la lingua della connivenza ai danni del mercato. Nulla di illegale, per carità, ma è noto che le società di rating sono legate a doppio filo non solo alle banche ma anche alle aziende che sono chiamate a giudicare.
«Dio li benedica», avrebbe esclamato Sergio Marchionne appena saputo dell’aumento del rating: titolo in rally per un giorno e poi via con le prese di beneficio. I fondamentali restano quelli, l’unica novità è la volontà del governo di aiutare ancora il settore con soldi pubblici: insomma, se sale il target price è per un’aspettativa assistenzialista. E lo chiamano mercato! Non fatevi abbindolare, cari lettori. Come dice Orwell, «nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario».