Il tema economico del 2013 è chi e come riuscirà a invertire il prima possibile la recessione in Italia e nelle altre aree dell’Europa in sofferenza o che sono a rischio, comprese Francia e, pur meno, Germania. La risposta considerata più ovvia è che tali soggetti siano i governi e che il “come” sia una loro capacità di collaborare per rendere i debiti pubblici meno costosi e, sul piano delle singole nazioni, di far affluire via riforme stimolative più capitale nei mercati interni per rilanciarne la crescita. Ma non è realistico pensare che gli euro-governi siano in grado di compiere tali azioni nel breve termine.
La mutualizzazione, cioè la garanzia collettiva, dei debiti nazionali dell’Eurozona è ostacolata dal dissenso dell’elettorato tedesco, che andrà alle urne nel settembre 2013. Anche nel migliore dei casi è comunque un evento remoto, perché condizionato dal successo delle stabilizzazioni dei conti pubblici nazionali, cioè dal pareggio di bilancio in ogni Stato, obiettivo lontanissimo e forse impossibile in Francia, molto più vicino in Italia, ma la cui credibilità è valutabile solo dopo almeno due anni, cioè nel 2015-16.
La tendenza vincolante al pareggio, poi, vieta il ricorso alla spesa pubblica in deficit e ne impone il taglio. Oppure impone aumenti delle tasse. Ma questi hanno un impatto depressivo così forte da sconsigliarli. Pertanto il pareggio di bilancio, per risolvere il problema del debito nell’Eurozona, dovrà essere perseguito prevalentemente con tagli alla spesa, poco rilevante che al governo di una nazione ci sia una destra o una sinistra.
Tagliare la spesa, tuttavia, è un’azione che crea dissenso e, sul piano tecnico, ha un impatto negativo, pur breve, sulla crescita. In sintesi, non possiamo aspettarci dai governi azioni di inversione rapida della tendenza recessiva, pur importantissimo il loro comportamento per la ricostruzione della fiducia nel futuro, cioè per la ripresa di consumi e investimenti.
Per tale motivo la speranza di inversione rapida si concentra su fattori non-fiscali: (a) ripresa del credito bancario; (b) competitività del cambio per favorire le esportazioni; (c) ripresa della fiducia completa sulla continuità dell’euro e conseguente riduzione dei costi dei debiti nazionali. Il soggetto che può ottenere tali obiettivi è la Bce.
Draghi, in un importante intervento la settimana scorsa, ha fatto intendere che guiderà le politiche della Bce per tali scopi, con determinazione. Da un lato, la politica espansiva della Bce è limitata dall’ossessione tedesca contro rischi, anche piccoli, di inflazione. Dall’altro, Draghi sta forzando la resistenza tedesca, peraltro più morbida per l’evidenza che l’eccesso di austerità impoverente potrebbe distruggere l’eurosistema. Quindi è realistico sperare che sarà la Bce a portarci all’inversione della recessione, in Italia verso la fine del 2013, pur con gli euro-governi molto limitati nell’attuare politiche espansive.