I primati economici si sono sbiaditi da tempo, picconati da una crisi che non risparmia neppure l’ex isola felice. Rischia di rimanerne uno, politico e per nulla lusinghiero: il Veneto unico pezzo d’Italia dove la sinistra perde a prescindere. Ormai a ridosso del silenzio-stampa sui sondaggi, i termometri dell’opinione pubblica indicano pressoché concordi un netto vantaggio del governatore uscente, Luca Zaia, Lega, sulla sfidante principale, Alessandra Moretti, Pd.
Certo, le esperienze italiane e straniere, comprese le più recenti (vedi Israele e Inghilterra) sembrano accomunare gli odierni sondaggisti agli antichi aruspici: nel senso che i loro rilievi statistici rischiano di avere l’identico valore delle viscere degli animali di un tempo, comunque non ci prendono. Ma l’aria che tira, per una volta, pare confermare le previsioni. E se dovessero verificarsi, sarebbe davvero il caso per il centrosinistra veneto di farsi fare un check-up radicale: perché diventa decisamente dura perdere quando dall’altra parte hai una Lega spaccata in due, e una Forza Italia drasticamente rinsecchita nei numeri, e che rischia nelle urne di fine maggio un malinconico bis di quanto appena capitatole a Trento e Bolzano.
C’è un “ma”, peraltro: ad oggi, più di un veneto su due non ha ancora deciso se andare a votare, e cosa votare; e il popolo degli astensionisti rappresenta la quota di gran lunga maggioritaria di questo “popolo del rifiuto”, attestandosi sopra il 40 per cento. Saranno comunque questi fantasmi, anche restandosene a casa, a determinare l’esito delle prossime regionali: nel senso che la vittoria andrà a colui che riuscirà a mobilitarne il maggior numero possibile. Ecco perché gli sforzi dell’ultimo scorcio di campagna elettorale si dirigono soprattutto verso questo potenziale serbatoio; anche se con scarse possibilità di prosciugarlo. Perché in realtà il copione di queste elezioni assomiglia stancamente e malinconicamente a tutti quelli del passato.
Confronti tra candidati ciascuno dei quali assicura che in caso di successo farà cose mirabolanti; vecchie liste della spesa proposte dalle varie associazioni; stucchevoli polemiche reciproche, anche tra persone che fino all’altro ieri avevano governato insieme. Sta di fatto che la maggioranza uscente arriva spaccata: da una parte la Lega ortodossa di Zaia “benedetta” da Salvini; dall’altra i dissidenti di Tosi alleati nella circostanza con i centristi Ncd e con la parte di Forza Italia che ha rotto con la casa-madre, inclusi l’attuale vice presidente della giunta e l’attuale presidente del consiglio. Sullo sfondo, i grillini che contendono ai tosiani il ruolo di terzo incomodo, la sinistra radicale, e il variegato pianeta dei venetisti che riesce a dividersi in tre parti distinte: chi va da solo, chi col centrosinistra, chi col centrodestra. Con la prospettiva di rivelarsi irrilevanti tutti e tre.
Quanto al Pd, se la sta giocando quasi tutta sul piano della comunicazione, con tanto di spin-doctor affiancato alla Moretti per rafforzarne l’immagine; stando ai sondaggi, con risultati peraltro scarsotti: il Veneto è terra complessa e ricca di sfumature, che mette duramente alla prova i teorici e i loro manuali. L’1 giugno si tireranno i conti: non solo per la Regione, peraltro, visto che contemporaneamente (ma è molto probabile che sia necessario il ballottaggio successivo) si voterà per il Comune di Venezia. Dove il centrosinistra è favorito, ma peraltro con un candidato, l’ex magistrato Felice Casson, che alle primarie ha battuto quello ufficiale del Pd.
A riprova che quest’ultimo è in forte affanno, come dimostra anche la bruciante sconfitta di un anno fa a Padova. A contendere il passo a Casson c’è comunque un candidato temibile, l’ex presidente degli industriali e proprietario della Reyer di basket Luigi Brugnaro. In città finora è accaduto l’inverso che in Regione: il centrodestra ha preso robuste spazzolate, specie quando si è affidato a Renato Brunetta, che stavolta ha fatto un forte endorsement per Brugnaro; e i maligni, che in laguna non mancano, spiegano che proprio questo è il problema… Sta di fatto che Venezia esce dalla traumatica vicenda del Mose, che in attesa di salvarla dalle acque alte del mare non è riuscito a fare altrettanto con quelle della corruzione, anzi ha aperto falle vistose.
Una vicenda costata il posto al sindaco Orsoni, e che peserà sicuramente sulle urne. Casson, molto popolare in città, conta di farcela. Certo, dovesse perdere oltre che la Regione pure il suo capoluogo, per il Pd sarebbe – per stare in tema – un’autentica alluvione.