“Andreotti era il simbolo del cinismo al potere, del potere per il potere”, il primo responsabile “dello sfascio dei conti pubblici che ancora paghiamo salato”. A poche ore dalla morte del senatore a vita, spentosi lunedì mattina all’età di 94 anni, Marco Travaglio torna a ricordare i diversi punti interrogativi che ancora aleggiano intorno alla sua vita e alla sua carriera. Il vicedirettore de Il Fatto Quotidiano definisce Andreotti “un politico buono a nulla, ma pronto a tutto e capace di tutto”, giudicato per concorso esterno in associazione mafiosa dalla Corte d’Appello di Palermo e assolto per i fatti successivi al 1980. Per i fatti anteriori, invece, è stato dichiarato il non luogo a procedere. La prescrizione, secondo Travaglio, comporta però l’accertamento del reato commesso da Andreotti, quindi “le macchie restano. E diventano indelebili. Giulio Andreotti passerà alla storia come l’unico presidente del Consiglio processato per mafia”. “Ma come sia finito il suo processo a Palermo”, continua, “lo sanno in pochi, e in pochissimi lo sapranno nelle generazioni future”. Senza dubbio lo sa bene l’avvocato Giulia Bongiorno, la prima ad arrivare nella casa romana del senatore a vita il giorno della sua morte e uno dei legali che dal 1993 hanno fatto parte del collegio di difesa di Andreotti dalle accuse di associazione mafiosa.
Avvocato, come risponde a chi definisce colpevole Andreotti?
Le posso dire con estrema chiarezza che in questi ultimi undici anni ho letto molto attentamente tutti gli atti processuali che lo riguardano. Al contrario, molte persone che continuano a scrivere e a commentare non lo hanno fatto, o comunque mantengono una visione piuttosto approssimativa.
Si può quindi parlare di colpevolezza?
Escludo in maniera categorica che ci sia la possibilità di parlare di una colpevolezza. Nel processo di Perugia c’è un’assoluzione completa, mentre su quello di Palermo un’assoluzione sulla parte relativa agli anni successivi al 1980.
Sugli anni precedenti invece?
Per quanto riguarda gli anni precedenti la prescrizione non copre un giudizio di colpevolezza ed è proprio per questo che lo escludo. Detto questo, è ovvio che chiunque può commentare come crede, anche perché Andreotti era chiaramente un personaggio pubblico, ma basta leggere con attenzione la sentenza per capire quello che sto dicendo.
Cosa ha stabilito la Cassazione per i fatti anteriori al 1980?
Abbiamo assistito prima a un giudizio estremamente positivo in primo grado, seguito da uno in cui si parlava di possibile colpevolezza in secondo grado, quindi la Cassazione ha fatto semplicemente sapere di non potere entrare nel merito e stabilire quale fosse il più corretto. Come vede, quindi, non c’è alcuna dimostrazione, conferma o prova di colpevolezza. Dopo aver categoricamente escluso questo, credo faccia anche parte dei “giochi” che qualcuno, a distanza di molti anni, ancora affermi il contrario.
Cosa intende dire?
Qualsiasi commento scritto su Andreotti va inevitabilmente a interessare la sua storia non solo giudiziaria, ma anche politica. In particolare, ci sono persone che scrivono ormai da anni su questo argomento, ma non fanno altro che ripetere sempre gli stessi concetti che ormai conosciamo da tempo.
Cosa può dirci invece del processo in cui Andreotti era imputato per associazione mafiosa?
Se parliamo dei presunti rapporti mafiosi, ribadisco che il processo era fondato non su fatti ma su dichiarazioni. Di solito è difficile difendersi da dichiarazioni, ma Andreotti, rispetto a ciascuna accusa, ha sempre presentato la prova contraria.
Per esempio?
Quando veniva affermato che in una certa data si era incontrato con qualcuno, Andreotti ha sempre provato che quel giorno si trovava altrove. Fortunatamente siamo stati aiutati dal fatto che, essendo un personaggio pubblico, era decisamente in vista.
Venne smentito anche il bacio tra Andreotti e Totò Riina che venne raccontato da Baldassare Di Maggio?
Anche quel bacio, considerato l’emblema del processo, è stato sconfessato. Non ci sono prove rispetto alle quali non sono state fornite precise documentazioni degli errori dell’accusa, quindi è per questo che si è trattato di un processo basato solamente su una serie di congetture generiche di pentiti che sono state puntualmente ribaltate da fatti.
Che ricordo ha di Andreotti durante tutti questi processi?
Lo ricordo per quello che era e non nella maniera, spesso distorta, con cui viene presentato. Era un uomo che, avendo rappresentato le istituzioni, ha voluto sempre rispettarle anche quando era sotto processo. Non ha mai voluto che noi difensori chiedessimo rinvii o che utilizzassimo meccanismi processuali atti a dilatare i tempi, oppure non ha mai voluto fare querela nei confronti dei pentiti anche quando avevamo la prova della falsità delle loro dichiarazioni. Come diceva sempre, “non voglio rompere il sistema per sistemare me”, e credo abbia fatto della correttezza la prima regola della sua difesa processuale.
(Claudio Perlini)