Da quando è diventata uno degli argomenti di punta della campagna elettorale la questione Alitalia si trasformata in una commedia, una partita a scacchi senza tempo limite che è utile agli attori e comprimari soltanto per creare difficoltà agli avversari politici.
Gli argomenti industriali, quelli finanziari e persino quelli che riguardano gli interessi nazionali sono passati in secondo piano. O meglio, è come se non esistessero più. Si sta passando il tempo in chiacchiere in attesa delle elezioni, del nuovo parlamento, del nuovo governo. Poco importa se, nel frattempo, la nostra compagnia di bandiera finirà i soldi, se a Malpensa sono in cassa integrazione centinaia di persone, se la gente comune e le aziende cominciano a non prenotare più voli Alitalia per timore di un default che lasci tutti gli aerei a terra. I fatti concreti passano in secondo piano rispetto al gioco delle parti in cui i protagonisti hanno obiettivi che vanno al di là dei destini della compagnia aerea di bandiera.
Il governo vuole chiudere a tutti i costi l’accordo con Air France per mettere i successori con le spalle al muro: se questi ultimi ratificheranno l’accordo saranno loro a pagarlo e a doverlo gestire, se non lo faranno si prenderanno la responsabilità di aver fatto naufragare una possibilità concreta di rilancio dell’azienda e avranno l’onere di trovare un altro partner valido. L’opposizione, certa di non esserlo più tra una settimana, tenta di smarcarsi e, nello stesso tempo, di fare campagna elettorale in puro stile italiano denunciando i molti limiti di un’intesa con Air France senza dare (ancora?) uno straccio di alternativa concreta. Nel centrodestra, poi, la questione Malpensa sommata all’intransigenza della Lega rischia di rivelarsi esplosiva anche per un futuro esecutivo e quindi ci si muove tra prudenze e proclami in un quasi inesplicabile cortocircuito giornalistico.
I sindacati, invece, ballano. Si siedono al tavolo con Air France, si accomodano a quello con i vertici di Alitalia, si presentano alle convocazioni del governo. Danno la propria disponibilità a trattare o estraggono dal cilindro nuove vecchie proposte a seconda di come tira il vento. E aspettano. Fanno passare la nottata e non hanno tutti i torti. Qual è quel sindacalista che andrebbe davanti ai propri tesserati per dire che ha chiuso un accordo “sanguinoso” con un quasi ex governo senza aver prima valutato cosa dice di avere in mano il prossimo esecutivo? I vertici di Air France, che hanno capito in che ginepraio political-finanziario-mediatico stavano finendo, hanno alzato i tacchi e sono tornati a Parigi. Torneranno dopo le elezioni, parleranno con il primo ministro in pectore e, con ogni probabilità, chiuderanno la partita alle loro condizioni. Non per la compagnia aerea che di per sè rappresenta più un problema che altro, ma per cercare di accaparrarsi i clienti di Alitalia, l’unica sua vera ricchezza. La conclusione potrebbe essere diversa solo nel caso in cui dovessero allungarsi i tempi e finissero i soldi per far volare gli aerei o entrasse in gioco un vero concorrente di Air France. La prima ipotesi è ancora lontana. La seconda lontanissima.