Nel mese di marzo l’inflazione del nostro Paese rallenta, crescendo soltanto dello 0,1% rispetto al mese precedente e dello 0,4% rispetto a marzo 2013, meno quindi dello 0,5% registrato a marzo. Escludendo energia e alimentari, l’inflazione aumenta dello 0,9%, contro il +1% di febbraio, mentre sottraendo i soli beni energetici passa dal +1% allo 0,8%. La situazione non è diversa nel resto dell’Eurozona, dove si è passati da un tasso medio dello 0,7% di febbraio allo 0,5% di marzo. Per Mario Deaglio, professore di Economia internazionale all’Università di Torino, «ormai anche la stessa Germania si rende conto che l’inflazione così bassa presenta dei pericoli, ed è necessario che la Bce emetta una quantità di moneta superiore per contrastare questi rischi».
Professore, che cosa ne pensa del rallentamento dell’inflazione?
È un panorama in cui la dinamica la fanno soprattutto i prodotti petroliferi. Il resto è molto piatto e tranquillo e non ci sono motivi per temere una deflazione, perché tutto sommato la liquidità non è abbondante ma c’è, e neanche una inflazione perché la domanda si sta riprendendo ma è abbastanza bassa.
Perché ritiene che la dinamica sia fatta dai prodotti petroliferi?
È quasi sempre così, in quanto il prezzo del petrolio risente di due volatilità: una è il prezzo del petrolio in sé e l’altra è il cambio. L’euro si è rafforzato sul dollaro e quindi ha contribuito a mitigare il prezzo del petrolio.
Qual è invece il rapporto tra settore produttivo e inflazione in frenata?
Il settore produttivo ha raggiunto un suo equilibrio di fine crisi sui costi e sulle quantità vendute in Italia, e quindi non modifica molto i prezzi. Non è in atto né una grande campagna di sconti e abbassamenti come è avvenuto nel mese di dicembre, né una tendenza a rialzarli in quanto si teme di perdere la clientela. Viviamo quindi in un orizzonte tranquillo dal quale usciremo con un leggero aumento della produzione, magari solo di qualche decimale.
In che modo il tasso di cambio dell’euro determina la frenata dell’inflazione?
Noi tendiamo a pagare un po’ meno tutti i prodotti che provengono da fuori dell’area euro, e ciò rappresenta un vantaggio. Gli esportatori sono però un po’ meno contenti in quanto spesso sono pagati in dollari, il cui tasso di cambio è particolarmente basso, e quindi vengono a trovarsi sul limite della redditività.
Quanto è serio il rischio deflazione?
Non sono particolarmente preoccupato, anche se preferirei avere un’inflazione dello 0,5-0,6% in più, accompagnata da segnali più forti di risveglio produttivo. I segnali ci sono, ma l’effetto sulla domanda interna è ancora troppo debole. Sarei disposto a pagare una crescita più sostenuta anche con un leggero aumento dei prezzi, sempre però sotto il limite del 2%.
Giovedì si riunisce il board della Bce. Ritiene che debba adottare dei provvedimenti particolari?
La Bce dovrebbe immettere maggiori dosi di liquidità nel sistema. In questo caso lo fa acquistando titoli e pagandoli in contanti. L’ultimo intervento di questo tipo risale ai primi mesi del 2002, forse ora è venuto il momento di giocare nuovamente questa carta, studiando delle formule per cui la liquidità è erogata solo nel momento in cui le banche devono erogare dei prestiti alle imprese, evitando di lasciare la liquidità stessa giacente presso la banca centrale, e quindi senza effetti sull’economia.
Quanto conta l’apertura del presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, sulle politiche espansive?
Le sue dichiarazioni mi hanno piacevolmente sorpreso, e rivelano che i tedeschi si rendono conto che l’inflazione così bassa presenta dei pericoli. Dovendo scegliere tra un pericolo d’inflazione, che nella realtà è molto lontano, e un pericolo di rallentamento eccessivo dell’economia, che è molto vicino, preferiscono un’inflazione lontana. Ciò che è quindi necessario è emettere una quantità di moneta leggermente superiore, pur tenendola sotto controllo.
(Pietro Vernizzi)