L’effetto-Renzi, all’attesissimo round delle nomine pubbliche, è almeno in apparenza inferiore alle aspettative: certamente non sfodera nomi di grido (ma questo era già accaduto per la compagine di governo e prima ancora con la direzione Pd), né segna rottamazioni nette o clamorose con il passato dell’Azienda-Italia.
Tre donne alle presidenze di Eni, Poste Italiane ed Enel (quattro se verrà confermata la candidatura di Catia Bastioli a Terna) rappresentano certamente una novità nella grande impresa di Stato e bisogna dare atto al premier di coerenza nel voler affermare in concreto le pari opportunità. Tuttavia né Emma Marcegaglia, né Luisa Todini, né Patrizia Grieco – pur presentando tutte e tre un profilo pubblico di collaudata rispettabilità – vantano un curriculum da big name, non incarnando peraltro neppure sorprese o stacchi anagrafici. Le prime due – ex presidente di Confindustria la prima, considerata vicina all’Udc; ex euro-parlamentare di Forza Italia la seconda, attuale consigliere Rai per il centrodestra – sono più note per il loro impegno fuori dalle rispettive aziende di famiglia: la Marcegaglia, comunque, proiettata nelle attività diversificate (immobiliare, turismo, energie alternative); la Todini oggi in via di avvicinamento finanziario a Impregilo-Salini dopo aver dismesso le storiche attività nelle costruzioni. Un cursus tutto manageriale nel settore delle tlc, invece, per Grieco: sempre a cavallo fra pubblico e privato, più sul delicato versante legale-societario che su quello dell’innovazione e delle concorrenza sul mercato. Forse Bastioli è – fra tutte – la designazione più “outsider”, più “renziana”: scienziata europea dell’anno nel 2007, 90 brevetti all’attivo fra cui il celebre Mater-Bi, imprenditrice privatissima, diventa “quota rosa” della società civile soltanto l’anno scorso quando Giuseppe Guzzetti la chiama nel consiglio d’amministrazione della Fondazione Cariplo.
Certo, la “polpa” delle nomine di ieri – sui cui a caldo è possibile solo qualche breve notazione – riguarda i manager operativi: ma va sottolineato che una quinta presidenza (quella di Finmeccanica) ha visto la conferma dell’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro e quindi un’evidente correzione degli intenti di “rottamazione integrale” da parte di Renzi. E ancora in Finmeccanica il nuovo capo-azienda giunge orizzontalmente da un’altra cabina di regia dell’impresa statale: le Fs. L’apparente “promozione” di Mauro Moretti conferma la complessità del rapporto stabilitosi fra il neo-premier e l’ex sindacalista della Cgil, che Renzi avrebbe forse voluto a bordo dell’Esecutivo al ministero dello Sviluppo. Invece i due hanno platealmente litigato un paio di settimane fa sul tema – divenuto subito bollente – delle retribuzioni ai vertici dei gruppi pubblici. Ora però Renzi invia Moretti alla guida dell’azienda forse più delicata fra quelle tuttora controllate dal Tesoro: ha dovuto scendere a compromessi con il nocciolo duro della vecchia guardia Pd, capitanata da Massimo D’Alema? Forse Renzi pensa di disarticolare almeno un po’ il “bunker” delle Fs, in tempi di “spending review”. Si vedrà.
Nel frattempo in Eni ed Enel vengono promossi due dirigenti di scuola interna: due laureati al Politecnico di Milano. Descalzi “uomo di San Donato” allo stato puro, sempre in spola fra Metanopoli e i campi d’esplorazione petrolifera di tutto il mondo, Starace – il capo di Enel Green Power, la scommessa più ambiziosa del gruppo – ha un profilo internazionale più accentuato, con passaggi non banali presso giganti come Ge, Abb e Alstom. Forse la “rottamazione” sbandierata da Renzi potrà maturare dietro i volti di questi due tecnici, poco noti al grande pubblico e forse desiderosi di restarlo. Di sicuro è impensabile immaginare Descalzi e Starace avanzare, da domani, in ostili terre di nessuno aziendali: viceversa, garantiranno una dose di continuità che molto probabilmente non guasterà. All’Eni, in particolare, si chiude l’epoca di Paolo Scaroni: certamente il nome di maggior spicco fra quelli usciti di scena ieri (e non ha stupito che ieri sera il manager si sia congedato personalmente nello studio del presidente della Repubblica Napolitano).
Scaroni – per il quale già in molti pronosticano un rapido trasferimento al vertice delle Generali – ha pilotato l’Eni su un percorso classico per il cane a Sei Zampe: “non allineato”, in un decennio in cui la Russia e le altre repubbliche post-sovietiche hanno fatto da nuova frontiera. Non sorprende che l’ormai ex Ceo paghi oggi il brusco raffreddamento delle relazioni Est-Ovest e il tramonto di Silvio Berlusconi, molto legato sia a Putin che a un altro ex “signore del petrolio” come il leader libico Muammar Gheddafi, tragicamente cancellato da una guerra.
Ci sarà tempo per vedere all’opera Francesco Caio al vertice operativo delle Poste: anche se “Mister Agenda Digitale” dovrà mettersi al lavoro senza indugio, visto che la privatizzazione delle Poste (e soprattutto delle sue strutture bancarie) è formalmente in lista entro la fine dell’anno. Anche Caio – ex Ceo di Omnitel con Carlo De Benedetti – è comunque un tassello di “usato sicuro” all’interno di un puzzle più “cencelliano” e meno “renziano” di quanto l’entourage del premier stia provando ad accreditare in queste ore. Se l’inserimento nel cda Eni dei Luigi Zingales (a lungo battagliero consigliere indipendente Telecom) porta nel cuore dell’industria pubblica un “italiano d’America” e un commentatore liberista principe, quello di Alberto Bianchi (considerato il “tesoriere” dell’ex sindaco di Firenze) nel board Enel promette già di far arricciare più di un naso.