Cina e Stati Uniti si sono accordati in merito a una possibile guerra commerciale condizionata all’aumento dei rispettivi dazi doganali. Base di ciò è stata l’intesa parallela raggiunta per ridurre sensibilmente il deficit commerciale degli Usa nei confronti della Cina. Ciò di fatto si è potuto ottenere con l’impegno formale cinese di aumentare in maniera più che significativa le importazioni sul proprio territorio sia di merci che di servizi statunitensi, e ciò, come si legge sul comunicato congiunto delle due superpotenze, “per andare incontro” ai sempre più crescenti livelli di consumo del popolo cinese, correlato a uno sviluppo economico e finanziario di alta qualità. A ciò si affiancano anche importanti aumenti delle importazioni cinesi sia nel reparto dell’energia che in quello dell’agricoltura.
Questo accordo è prodromico a una partita ancora aperta, complessa e ricca di tensioni. Infatti, alla Casa Bianca tiene banco la minaccia per la Cina di dazi su oltre 150 miliardi di dollari di importazioni, e ciò soprattutto per violazioni insite in proprietà intellettuale e furti di tecnologia. Al momento entrambi i contendenti hanno vagamente accennato anche a una volontà di rafforzare una collaborazione al fine di trovare e risolvere le problematiche economiche, commerciali e finanziarie che creano non poche tensioni.
Paragonare il tutto a una partita di poker non è un eufemismo. Si capisce dal fatto che sono scaturite mosse reciproche, come in una partita a carte: Pechino ha chiuso un’indagine anti-dumping sul sorgo statunitense, prodotto agricolo messo al bando da un mercato interno che solo nell’anno scorso ne aveva assorbito per un miliardo di dollari del raccolto Usa. La Casa Bianca, come risposta attiva, ha immediatamente riabilitato il gigante delle telecomunicazioni cinesi Zte, di fatto prima accusato dagli Usa di minaccia alla sicurezza nazionale. In tutto questo, per pareggiare i conti, i cinesi hanno autorizzato l’acquisizione di 18 miliardi di “chip di memorie” della Toshiba da parte del fondo americano Bain Capital e dato il via libera a una fusione paritetica tra l’americana Qualcomm e la cinese Nxp.
In tutto questo contesto multimiliardario, e di interesse per il mondo economico e finanziario, l’intesa tra Usa e Cina ha avuto ripercussioni anche sull’euro, che ha segnato un nuovo minimo da dicembre a 1,1716 sul dollaro. Personalmente ritengo che a sorreggere il dollaro, però, interverrà direttamente la Federal Reserve e che a spingere così il dollaro abbia contribuito, in maniera più che significativa, sia l’intesa Usa-Cina sul commercio, sia la concomitanza del rialzo sui tassi pubblici americani.
Appare chiaro che la “guerra” tra le due maggiori potenze economiche del mondo avrebbe portato turbolenze anche nel mondo finanziario internazionale e che l’Ue sarebbe stata, indirettamente, coinvolta in siffatta situazione, con problematiche oggi difficilmente decifrabili e comunque imprevedibili a livello borsistico e quindi economico. L’attuale parentesi di “pace” tra le due superpotenze può, di fatto, incrementare i rapporti commerciali tra l’Europa, la Cina e gli Usa a tutto beneficio, se non di settori produttivi specifici europei che avrebbero potuto inserirsi nella diatriba tra i due, nella generalità dei rapporti economici e finanziari dei tre schieramenti.