Il Cancelliere Merkel bacchetta Francia e Italia per il ritardo nell’intraprendere la strada delle riforme. Secondo il presidente del consiglio tedesco, “la Commissione ha ribadito che quanto presentato sul tavolo fino a ora non è sufficiente, parere che io condivido”. A stretto giro la risposta del governo italiano, affidata al sottosegretario Sandro Gozi, il quale ha chiesto rispetto e ha criticato a sua volta la Germania per il fatto di non essersi ancora adeguata alle regole europee per quanto riguarda il surplus commerciale. Quindi il ministro delle Finanze di Berlino, Wolfgang Schaeuble, ha cercato di aggiustare il tiro: “L’Italia ha appena approvato una impressionante riforma del mercato del lavoro, e anche la Francia sta accelerando le riforme”. Schaeuble ha poi aggiunto che Roma e Parigi “sono sulla via giusta”. Ne abbiamo parlato con Leonardo Becchetti, docente di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma.
Ha ragione la Merkel a bacchettare Italia e Francia?
Assolutamente no, i cattivi risultati economici in Europa sono responsabilità di tutti a partire dalla Bce. Il rapporto debito/Pil italiano l’anno prossimo aumenterà almeno del 4%, e sarebbe cresciuto soltanto dell’1% se la Bce avesse garantito l’inflazione al 2%. Almeno 3 punti sono da addebitare alla Bce che non ha seguito quella politica di espansione monetaria che è stata adottata dagli Stati Uniti ben sei anni fa. Siamo in gravissimo ritardo e la colpa è della Bce. A ciò si aggiungono serie responsabilità da parte della Germania, che secondo le regole europee non avrebbe dovuto mantenere un surplus commerciale superiore al 6% del Pil.
Quali sono invece le responsabilità italiane?
Le responsabilità italiane sono molteplici, e sintetizzabili nei cosiddetti “50 spread tra Italia e Germania”. Dobbiamo colmare il divario in termini di durata delle cause civili e migliorare la diffusione della banda larga e l’istruzione. Bisogna anche capire che alcuni cambiamenti richiedono tempi lunghissimi, per esempio il divario di scolarizzazione per essere colmato richiederà degli anni. Ciò su cui più rapidamente dobbiamo e possiamo intervenire è la riforma della burocrazia, della giustizia e della lotta alla corruzione. Su questo dobbiamo accelerare i nostri impegni, e lo stesso monito della Merkel ci deve stimolare e spronare a fare in fretta.
La risposta del sottosegretario Gozi alla Merkel è quindi solo una scusa per non fare la nostra parte?
No. Se vogliamo essere obiettivi, l’attuale situazione economica è stata causata da un concorso di responsabilità da parte di Italia, Germania e Bce. Sarebbe stato molto meglio se Germania e Bce avessero fatto la loro parte, combattendo la deflazione e stimolando gli investimenti attraverso una politica fiscale espansiva. Oltre al lavoro che attende i singoli Paesi nazionali, ci sono alcune questioni fondamentali rispetto a cui l’Europa è in gravissimo ritardo. Mi riferisco al Quantitative easing della banca centrale e alla politica di investimenti del presidente della Commissione Ue, Jean-Claude-Juncker, che è ancora del tutto insufficiente in quanto a risorse messe in campo.
Lei intravvede dei segnali che registrano un cambiamento di tendenza?
Sì. Oggi 11 ministri delle Finanze di altrettanti Paesi europei si riuniranno e potrebbero varare una tassa sulle transazioni finanziarie in grado di portare nelle casse Ue una cifra tra i 30 e i 40 miliardi di euro. È una somma molto importante, nel momento in cui Juncker non riesce a tirare fuori più di 20 miliardi per finanziare la politica degli investimenti europei.
A ottobre la produzione industriale in Germania è cresciuta dello 0,2% anziché dello 0,4% che era stato previsto. Perché questo risultato inferiore alle attese?
La Germania è vittima di se stessa e dei suoi errori ideologici. L’errore consiste nel fatto di pensare che in questo momento la cosa importante sia il pareggio di bilancio. La politica del rigore ha ucciso la domanda dei Paesi dell’Europa del Sud, che è molto importante per gli stessi prodotti tedeschi. Questo dato dovrebbe indurre i tedeschi a riflettere e a confrontarsi con le politiche che in questo stesso periodo sono state attuate dagli Stati Uniti. Non è un caso che anche all’interno della Germania gli industriali incomincino a capire che la via del rigore non funziona.
(Pietro Vernizzi)