Il primo assaggio del mercato ha lasciato un buon sapore in bocca. Così il boccone amaro dei Tremonti bond si è rivelato tutt’altro che indigesto per il Banco Popolare che ha addirittura banchettato a Piazza Affari. L’istituto emetterà 1,45 miliardi di euro in obbligazioni convertibili perpetue che verranno sottoscritte principalmente dal Tesoro e consentiranno al gruppo bancario di rafforzare il Core Tier 1. Una boccata d’ossigeno in un mare in tempesta che ogni giorno rischia di inghiottire quelle che un tempo erano navi da combattimento e che oggi appaiono barchette (o banchette) che fanno acqua da tutte le parti.
Secondo gli analisti i vantaggi per il Banco Popolare saranno considerevoli (quelli di Deutsche bank stimano un miglioramento del Core Tier 1 dal 5,7% al 7,4%) eppure il ricorso agli strumenti finanziari di patrimonializzazione sono comunque un segnale di debolezza. Del resto il Banco Popolare è stato costretto ad aprire le danze ricorrendo ai bond di Stato per evitare un tracollo annunciato.
Smentite le indiscrezioni di «azzeramento del patrimonio netto» per Italease, la partecipata finita anni fa al centro di uno scandalo finanziario, la sostanza non cambia molto: Banco Popolare ha in pancia un prodotto andato a male e gli effetti dell’indigestione sono solitamente maleodoranti. In una nota Banca Italease ha recentemente confermato che la crisi economica sta «influenzando l’evoluzione del profilo di qualità del portafoglio crediti del gruppo, caratterizzato anche dalla presenza di grandi esposizioni riconducibili al settore immobiliare». Ecco perché tra le varie opzioni in campo per il caso Italease prende corpo anche quella del delisting. Una strada forse meno dolorosa ma certamente più onerosa nell’immediato per il Banco Popolare che ha così preferito mettere mano alle munizioni dei Tremonti bond.
Una cosa è chiara: non sarà l’unica visto che il Monte dei Paschi di Siena sembra pronta nelle prossime ore a chiedere una iniezione di circa 2 miliardi di euro. L’obiettivo del Tesoro è accrescere le opportunità di finanziamento all’economia grazie alla maggiore patrimonializzazione delle banche che pagheranno una cedola annuale compresa tra il 7,5% e l’8,5% per i primi anni. Cedola che poi andrà a crescere gradualmente. Non un grande affare per le banche, ma comunque una scialuppa di salvataggio a patto che favoriscano il credito alle imprese e alle famiglie.
Se da un lato l’azione del governo è senza dubbio lodevole per arginare gli effetti della crisi dall’altro appare non del tutto convincente. L’intervento dello Stato poteva essere più diretto facendo vendere le quote della Banca d’Italia che gli istituti detengono magari utilizzando lo strumento della Cassa Depositi e prestiti. Si sarebbe attivato un meccanismo più virtuoso invece di far leva sulle obbligazioni tremontiane.
Proprio qui sta in punto cruciale. Si è persa l’occasione per ridisegnare gli equilibri all’interno del mondo bancario e rafforzare la Banca d’Italia nel suo ruolo di vigilanza e controllo. Forse qualche granello ha inceppato il meccanismo. Così come non si spiega il motivo per cui Berlusconi abbia chiamato a raccolta i banchieri italiani a mangiare le pennette tricolore a Villa Madama senza invitare il governatore Mario Draghi. Forse non avrebbe accettato di fare il cameriere visto che il controllo sulla erogazione del credito dalle banche alle imprese spetterà ai prefetti. O forse per il governo anche la Banca d’Italia ha le sue responsabilità per l’attuale condizione del sistema.
Ma un posto a tavola per l’unico italiano che il Financial Times ha classificato tra i primi 50 leader dell’economia, della politica e delle istituzioni internazionali si doveva trovare. Almeno uno strapuntino. Magari vicino al ministro Tremonti. Peccato. Draghi avrebbe cantato una bella canzone.