Prima o poi la crisi del Caucaso doveva esplodere. Ed è accaduto nella maniera forse peggiore e più carica di conseguenze per l’equilibrio nelle relazioni internazionali. Il gioco della ricerca delle responsabilità è inutile e dannoso e condurrebbe solo ad una spirale di accuse, senza alcuna via di uscita e nessuna soluzione duratura.
Errori ed omissioni sono da imputare a tutte le parti di gioco. All’Occidente, che ha frettolosamente riconosciuto il Kosovo, aprendo di fatto il vaso di Pandora dello statu geopolitico delle minoranze e dei nuovi assetti territoriali, prima congelati nell’equilibrio della Guerra Fredda. Ed ha anche accettato di buon grado la Russia nell’architettura di sicurezza internazionale, senza mai però coinvolgerla fattivamente nelle decisioni politiche. Così, tra un allargamento della NATO e dell’UE ed un trattato di cooperazione militare, Mosca ha sofferto della classica sindrome da accerchiamento, reagendo come solo gli Imperi un po’ nostalgici sanno fare. Il Cremlino stesso non è esente da colpe, vista la palese violazione del diritto internazionale legata ad un’azione militare di aggressione del sovrano territorio di un altro Stato. Così come la Georgia, governata francamente da un autarca vestito all’Occidentale, davvero inesperto ma forse speranzoso che questa mossa azzardata della risposta militare consentisse al suo Paese di entrare subito nella NATO.
Ma ormai quel vaso di Pandora è scoperchiato e l’effetto domino potrebbe essere preoccupante. In primo luogo perché con l’uscita della Russia dal sistema di sicurezza euro-atlantico molti regimi-canaglia troveranno una sponda poderosa per destabilizzare l’arena internazionale. Lo ha già fatto la Corea del Nord, che ha sospeso gli accordi di smantellamento del proprio programma nucleare, così come già disegnati con USA, Cina, Giappone e, per l’appunto, Russia. Lo potrebbe fare Teheran, che grazie alla tecnologia dei russi sarebbe in grado di accelerare di un paio di volte la messa in opera delle proprie centrifughe di arricchimento dell’uranio, nonché il proprio programma missilistico nazionale, già notevole. Lo ha fatto la Siria, che vuole essere in Medio Oriente ciò che Cuba fu nella Guerra Fredda: un avamposto delle testate russe per rompere l’equilibrio di forza nella regione.
Da non trascurare è poi la mancata cooperazione in campo militare, specie sul fronte di guerra caldo dell’Afghanistan, dove i soldati russi, pur non combattendo formalmente, gestiscono importanti corridoi per l’approvvigionamento di cibo e carburante per le truppe della coalizione internazionale impegnata a combattere i Talebani.
Infine, non va sottovalutato il richiamo di questa revanche neo-imperiale di Mosca sulle minoranze russofone sparse in giro per l’Asia Centrale, il Caucaso e l’Europa dell’Est. Voci pericolose, in tal senso, si sono già fatte sentire dall’Ucraina, Paese praticamente spaccato a metà tra chi odia il vecchio Impero sovietico e chi ne ha nostalgia, Moldova, repubbliche baltiche.
Insomma, siamo lontani da una riedizione della Guerra Fredda, ma siamo molto vicini ad un rimescolamento delle carte nelle relazioni internazionali. La domanda è se il mondo sarà in grado di trovare un nuovo equilibrio che tenga conto delle cosiddette “lessons learned”, delle lezioni apprese da quest’ultimo ventennio, vissuto in maniera un po’ disinvolta.