Più che un Consiglio europeo, dalle notizie che arrivano da Bruxelles sembra di assistere a una riunione arruffata con “spezzoni” di risse e contese, dove si regolano interessi e vecchi conti. E dove ognuno alla fine va per conto proprio. Un tempo, due grandi comici, Vianello e Tognazzi, ironizzavano sul ruolo dell’Onu chiudendo le loro gag con una frase che diventava surreale, anche se la ripetevano tutti i “tromboni” dell’epoca: “Sempre nell’ambito delle Nazioni Unite”. Si potrebbe ripetere questo refrain con un “nell’ambito dell’Unione europea”. E’ un peccato che non manchino solo i politici di razza, ma anche i bravi comici. E il tutto non ha l’aria della farsa, ma del dramma del destino europeo.
Tuttavia per noi italiani il problema non si ferma solo a questa constatazione. Tra trattative sulla Brexit, la questione immigrazione, i muri e i fili spinati, il ricordo, quasi, del Trattato di Schengen e la perenne questione bancaria, nel bel mezzo di un’altra frenata economica, c’è pure il nostro premier, il noto “rottamatore” Matteo Renzi, che con la sua spavalda incompetenza e superficialità sta accumulando problemi a problemi.
Il tono snob del Financial Times “la fortuna di Renzi si sta esaurendo” non è solo una battuta su un leader isolato, ma una condanna di tutte le cancellerie europee. In sintesi, di Renzi in Europa non si fidano più. Può anche immaginarsi complotti e congiure, il nostro premier, ma forse non ha capito bene quello che è accaduto nel momento in cui ha alzato i toni con l’Europa in modo piuttosto sgangherato.
Aveva già perso tempo, che è sempre decisivo in politica, durante il semestre di presidenza italiana. Ma poi ha disatteso troppi appuntamenti importanti con altri leader europei, con l’inglese David Cameron (che aveva messo il veto su Juncker), come con i greci, ormai completamente dimenticati, come con gli stessi francesi, che qualche segnale lo avevano lanciato. Né si è preoccupato di stabilire contatti costruttivi con altri leader.
Con una prosopopea da “strapaese”, prima Renzi si è appiattito sulla Merkel, poi, quando i conti non gli tornavano più anche in Italia, ha rovesciato il tavolo come si fa in un bar di periferia.
E’ probabile che Renzi abbia compreso finalmente (qualcuno deve averglielo spiegato) che adesso il suo mandato vacilla, che qualcuno in Europa ha sibilato che “L’Italia non è un rischio per l’Europa, ma Renzi è un rischio per l’Italia”.
Solo un mese fa il senatore Mario Mauro, in un intervento al Senato, aveva detto rivolgendosi direttamente al premier: “Inutile polemizzare e discutere. Prima di ottobre del 2016 ci sarà un governo tecnico. Arrivederci presidente”. E Mauro è un esperto di vicende europee. Giulio Tremonti è talmente impietoso da sostenere: “Chiunque può sostituire Renzi”.
E questo della sostituzione è il problema che si pone oggi. Forse pochi hanno capito bene, o hanno fatto finta di non capire, il significato che ha avuto il discorso di Mario Monti in Senato in dura polemica con il premier. Renzi pensava forse di avere di fronte il “senatore a vita” Mario Monti, l’ex premier molto impopolare in Italia. Non ha pensato che attualmente Monti è anche presidente del Gruppo dell’Unione europea che sta lavorando al progetto di unione fiscale. La “notifica”, arrivata al nostro promo ministro, era una sorta di atto ufficiale che arrivava da Bruxelles e da Berlino.
In quel momento, la sensazione di chi osserva politicamente, con un minimo di attenzione alcuni fatti e atti, è stata questa: Renzi può cadere da un momento all’altro, può cadere in qualsiasi momento.
E infatti, attualmente, si ragiona proprio di questo: come può essere sostituito Renzi e da chi? Qui ci sono diverse scuole di pensiero, per così dire, che vanno valutate con attenzione. Il primo nome che è venuto in mente a molti, considerando la difficile situazione italiana, malgrado tutti i falsi “trionfalismi” di “ripresa e di inversione di rotta” che si stanno declamando con insistenza irritante soprattutto per la maggioranza degli italiani, è stato quello di Mario Draghi, attuale presidente della Bce, banchiere che appare come l’unico politico di razza in questa Europa sull’orlo dell’implosione.
Si potrebbero andare a scoprire molti “peccati” passati di Draghi, anche quando lavorava al ministero del Tesoro e quando cavalcava la filosofia finanziaria di Goldman Sachs. Ma non c’è dubbio che l’euro, in questi ultimi anni, ha retto per gli interventi della Bce e per l’abile mediazione che Draghi è riuscito a realizzare tra gli interessi americani in Europa e le spinte tedesche di rigorismo che Angela Merkel, proprio attraverso Draghi, è riuscita a in qualche modo a contenere. Anche se non abbastanza per una politica economica di ripresa.
Ma questa funzione di Draghi, che farà il punto sulla situazione economica e sul ruolo dell’Unione europea il prossimo 10 marzo, è ormai talmente importante che non può essere improvvisamente cancellato.
Alcuni analisti osservano che un ritorno di Draghi in Italia, specificamente alla presidenza del Consiglio, potrebbe essere giustificato da uno scenario completamente compromesso in Europa e nei rapporti tra Unione europea (a quel punto a rischio implosione) e Stati Uniti. In attesa che il cosiddetto quantitative easing funzioni ancora e magari migliori la situazione economica, sperando che si schiarisca un poco anche il difficile quadro geopolitico, l’Italia dovrebbe pertanto ancora limitarsi al ruolo di comprimario, che deve rispettare i parametri europei e non forzare la mano su punti delicati come la flessibilità, dato che è certamente una grande potenza economica, ma ha un indebitamento che mette i brividi.
E’ insomma un corridoio strettissimo quello che ci viene riservato. Ma la mancanza di alternative politiche reali e realizzabili, la mancanza di scelte politiche fatte in passato ci costringe alla realtà di un’Unione europea, incompiuta e spesso incomprensibile, che resta al momento ancorata alla leadership tedesca.
E’ una “medicina amara”, ma che va addebitata a chi ha pensato di liquidare, con tanta faciloneria, il ruolo che l’Italia ha avuto per cinquant’anni nel dopoguerra. Era un’anomalia quell’Italia? Può darsi, ma funzionava e con alcuni ritocchi poteva essere difesa. Al contrario è stata svenduta e destabilizzata.
Allora, ecco la scelta che si profila per un cambio della guardia a Palazzo Chigi di un “rottamatore” da strapaese. Qualcuno penserà a rimettere in pista, magari, anche Giuliano Amato, ma si potrebbe presentare a quel punto anche il problema di camminare tranquilli per la strada, guardandosi le tasche. Più facilmente, si può risolvere il ricambio che in molti vogliono promuovendo il fido Pier Carlo Padoan, l’attuale ministro per l’Economia, magari con un rimpasto che può prevedere anche il ritorno di Monti al governo come ministro degli Esteri. E’ un periodo che ricompare spesso in televisione, come se qualcuno volesse ricreargli una pubblicità. Anche la signora Elsa Fornero riappare spesso sul video. E senza lacrime.
Non è uno spettacolo edificante. Ma questo è il risultato della cosiddetta grande svolta “etica” cominciata nel 1992 e arrivata fino a Renzi, della cosiddetta “seconda repubblica”, del liberismo finanziario sponsorizzato con entusiasmo anche dalla sinistra, che un tempo faceva il tifo per il “democratico” Breznev. Adesso c’è solo da ballare. Speriamo che non sia come sul Titanic.