I timori di un intervento americano in Siria agitano i mercati portando l’indice Ftse Mib a perdere il 2,34%. Male anche Wall Street dove l’indice Dow Jones diminuisce dello 0,5% e si allontana sempre di più dai 15mila punti di lunedì. Le tensioni sul fronte siriano mandano gli investitori in fibrillazione, con le Borse dei Paesi del Golfo che dopo le parole del segretario di Stato Usa, John Kerry, registrano punte di vero e proprio panico. Dubai in particolare perde il 7% e Riad il 4%. Come sottolinea Antonio Maria Rinaldi, professore di Economia internazionale all’Università di Chieti-Pescara, soprattutto per le numerose imprese italiane che con rapporti commerciali con il Medio Oriente le conseguenze potrebbero essere molto pesanti.
Quali sarebbero le conseguenze economiche per le imprese delle tensioni politiche in Medio Oriente?
Qualsiasi tensione, sia i moti di protesta sia eventuali interventi militari, creano numerose difficoltà per i mercati internazionali. In particolare i recenti sviluppi politici in Medio Oriente possono creare degli enormi problemi per una serie di ragioni diverse. L’instabilità dell’Egitto può trasformarsi in un ostacolo per le navi che trasportano merci dall’Oceano Indiano verso l’Europa attraverso il Canale di Suez. La guerra civile in Siria può invece avere ripercussioni per quanto riguarda il prezzo del petrolio che rischia di subire un’impennata. Sempre per quanto riguarda la Siria esistono delle correlazioni non indifferenti con i rapporti di forza tra Cina, Stati Uniti e Russia. Questi focolai quindi nonostante appaiano lontani dall’Italia hanno dei risvolti estremamente importanti.
Quali sarebbero le imprese italiane più colpite?
Le imprese italiane più colpite sarebbero quelle che lavorano o hanno direttamente degli interessi nelle aree geografiche mediorientali. A livello più ampio potrebbero esserci dei problemi collaterali per ragioni di trasporti e per l’innalzamento del prezzo della materia prima, e in particolare del petrolio.
Che cosa accadrà se la situazione di tensione in Siria dovesse perdurare o peggiorare?
Nelle ultime ore gli Stati Uniti hanno cercato di mediare tra le diverse posizioni. Le opzioni sul tappeto sono diverse, anche se Russia e Cina sono contrari a qualsiasi iniziativa dell’Onu diretta a colpire il governo di Damasco. Gli Stati Uniti sembrano propensi a qualche azione di forza in particolare dopo che l’utilizzo dei gas ha provocato diverse vittime tra i civili e in particolare tra i bambini. Qualsiasi tipo di intervento non potrà avvenire sotto l’egida dell’Onu, perché la Russia porrà il veto, e si tratterà quindi di un’azione unilaterale. Bisognerà poi vedere se le operazioni degli Stati Uniti avverranno sul territorio oppure attraverso una serie di raid aerei. Si aprirebbe comunque l’ipotesi di una partecipazione degli Stati membri dell’Unione Europea e quindi anche dell’Italia.
In entrambi i casi, quali sarebbero i riflessi di carattere economico?
Se dovesse esserci un intervento con un supporto militare significherebbe aprire un altro capitolo di spesa nel momento in cui già non c’è la possibilità di destinare ulteriori risorse alle ingenti necessità delle operazioni militari.
Quali sarebbero nello specifico le conseguenze per il mercato dell’energia?
Qualora dovessero intervenire, gli Stati Uniti valuterebbero con largo anticipo anche l’ipotesi che un eventuale intervento possa fare muovere il prezzo del petrolio sui mercati internazionali. Immetterebbero quindi sul mercato delle quantità di greggio tali da non fare aumentare il prezzo del barile in maniera sconsiderata. In questi casi scatta spesso la speculazione, ed è quindi necessario che i mercati siano seguiti e assistiti. Molto dipenderà anche dal fattore tempo. Se si prevede un intervento rapido le conseguenze saranno di un certo tipo, se invece le operazioni dureranno molto a lungo come in Afghanistan diventerà difficile pianificare qualche forma di intervento sui mercati. La migliore delle ipotesi resta comunque una soluzione diplomatica in virtù di un’intesa tra le superpotenze.
Che cosa accadrebbe invece sui mercati azionari delle piazze europee ed americane?
Le maggiori turbolenze sui mercati azionari potrebbero coinvolgere le società più interessate sia per la collocazione delle loro sedi sia per il fatto di avere particolari rapporti commerciali con il Medio Oriente. Le società energetiche in particolare potrebbero avvantaggiarsi dell’aumento del prezzo del petrolio. Si tratta però soltanto di congetture, perché abbiamo visto che tutto ciò che avviene non è mai replicabile rispetto alle esperienze precedenti. La situazione siriana in particolare è molto complessa e potrebbe comportare degli sviluppi molto imprevedibili.
(Pietro Vernizzi)