La fine, per Berlusconi, è vicina. Il 27 novembre l’Aula voterà la sua decadenza. A poco sono valse le richieste di far slittare lo scrutinio, magari come ha chiesto Alfano per far spazio alla ben più urgente discussione sulla legge di Stabilità. Eppure, l’ex premier potrebbe tirare fuori l’ennesimo coniglio dal cilindro, dimettendosi all’ultimo momento. L’ipotesi sin qui ritenuta impraticabile, per lo più per ragioni di orgoglio personale, torna in auge. Se Berlusconi lasciasse il proprio seggio prima del pronunciamento dell’Aula, infatti, il Senato non potrebbe più votare sulla decadenza stessa. Tuttavia, come prevede la Costituzione, avrebbe l’obbligo di esprimersi nuovamente con un voto (ma questa volta a scrutinio segreto) sulle dimissioni volontarie. E, a quel punto, passerebbero settimane. Luciano Ghelfi, cronista del Tg2, ci spiega cosa non va in questa ricostruzione.
Berlusconi potrebbe aver fatto un calcolo del genere?
La teoria sta in piedi. Tuttavia, c’è un grosso problema. Le dimissioni, infatti, rischiano di precludere i ricorsi in sede europea.
Perché?
Perché, semplicemente, verrebbe a mancare l’oggetto del contendere. Berlusconi, a quel punto, ricorrerebbe contro una legge che ritiene ingiusta, appellandosi al principio del non retroattività delle pene; ma lo farebbe per difendere un seggio in Senato che, poco prima, avrebbe lasciato lui stesso spontaneamente.
In queste ore, quindi, che valutazioni sta facendo?
Si sta consultando con i suoi avvocati per capire se tale preclusione scatterebbe effettivamente. Sembra che si tratti di un’opzione più che probabile.
Quindi?
Se il suo scopo è quello di guadagnare, semplicemente, qualche settimana, la mossa della dimissioni sarebbe indubbiamente quella maggiormente in grado di sparigliare. Se, invece, vuol vedere ribaltata la pronuncia sulla decadenza, gli occorrerà estrema cautela.
Perché la sentenza, in sede europea, potrebbe essere realmente ribaltata?
Sì, c’è questa possibilità.
Resta il fatto che, a quel punto, avrebbe abbondantemente superato gli 80 anni.
Non direi. La giustizia europea è molto più veloce di quella italiana. Non credo che occorrerà più di un anno per arrivare a un pronunciamento. Al momento l’analisi del caso non è ancora iniziata perché, semplicemente, la questione non si è ancora chiusa. Le Corti europee si adiscono laddove siano stati esperiti tutti i gradi di giudizio in sede nazionale. Si dovrà attendere, quindi, non solo il voto dell’Aula del 27 novembre ma, probabilmente, anche la sentenza della Cassazione relativa alla riformulazione da parte della Corte d’Appello della pena accessoria (due anni di interdizione dai pubblici uffici).
Oltre a poter dire che aveva ragione lui, in ogni caso, cosa ci guadagnerebbe? Una sentenza di questo tipo potrebbe forse rimetterlo in gioco politicamente?
Senza dubbio. Non solo: si determinerebbe un effetto a catena dirompente per tutto lo scenario politico nazionale. I suoi ex alleati, come minimo, si troverebbero costretti a chiedergli scusa. Ma anche buona parte dei suoi avversari. Addirittura, si può ipotizzare che un Parlamento che abbia cacciato Berlusconi ingiustamente, possa risultare ipso facto delegittimato.
Questo cosa comporterebbe?
Berlusconi avrebbe tutte le ragioni per pretendere le elezioni anticipate. Sarebbe il caos.
Se le cose stanno così, l’ipotesi che non si dimetta sembra la più probabile.
Indubbiamente, anche perché non dobbiamo dimenticare che Berlusconi non è di certo tipo da dimettersi. Presumibilmente, quindi, il 27 si presenterà in Senato e pronuncerà un discorso durissimo nei confronti, in particolare, delle istituzioni.
Napolitano, in questa partita, che ruolo può giocare?
Nessuno. Se non ha agito fin qui in nessun modo, non potrà di certo farlo ora che la situazione si è così complicata.
(Paolo Nessi)