La sentenza della Corte costituzionale sull’Italicum ha lasciato l’amaro in bocca. Dopo la sorpresa del primo momento, sono cominciate le perplessità e le critiche: perché una scelta proporzionalista, perché sono rimasti tanti “nominati”, perché il mantenimento delle pluricandidature e l’introduzione del sorteggio, perché due leggi così diverse per Camera e Senato… In realtà, la Corte costituzionale è intervenuta perché le è stato richiesto e nei modi che le sono propri. Non era nei suoi poteri fare una nuova legge elettorale ed era suo compito intervenire solo sugli aspetti costituzionalmente inaccettabili. Forse la Corte avrebbe potuto evitare una frase tanto perentoria sull’applicabilità “immediata” delle sue decisioni (anche se doveva garantire la possibilità comunque di votare alla fine della legislatura o in caso di scioglimento delle Camere): è suonata, infatti, come un invito ad andare a votare senza ulteriori interventi legislativi.
Ma anche senza questa frase, le cose sarebbero cambiate poco. E’ evidente che il Parlamento dovrebbe mettere mano alle molte questioni che sono rimaste aperte e, tenendo conto della sentenza, realizzare ciò che i giudici non hanno potuto fare: approvare una legge elettorale che elimini le aporie e armonizzi i risultati di Camera e Senato. Ma la sentenza della Corte è nata dalla debolezze della politica e quest’ultima è troppo debole anche per gestirne le conseguenze. E’ questo il motivo di fondo di tanta amarezza.
Da questa debolezza scaturisce un circolo vizioso che sembra impossibile spezzare. La sfiducia dei cittadini indebolisce i partiti che, per questo motivo, non hanno la forza di proporre soluzioni coerenti ed organiche (non solo in campo elettorale, come mostra il caso della “Buona Scuola”, in particolare riguardo a trasferimenti e selezione degli insegnanti). Per recuperare la sfiducia, le forze politiche rincorrono gli elettori e propongono soluzioni sempre più demagogiche. Ci si concentra sulla “rappresentatività” trascurando la “governabilità”; si invoca un rapido ricorso alle urne, anche con leggi che potrebbero creare risultati fortemente contraddittori, per restituire la “sovranità al popolo”; si taglia corto con questi problemi in nome di “questioni più urgenti” (tante famiglie sono in difficoltà, la ripresa non arriva ecc). Ma anche se in molti casi vengono invocati argomenti fondati, si tratta di fughe dal problema di fondo.
Non sono solo questioni italiane, riguardano anche gli altri paesi europei. Il 2017 è l’anno ideale per distruggere l’ultimo baluardo che finora ha frenato le debolezze delle politiche nazionali: le istituzioni dell’Unione europea. Alle elezioni in Francia, Olanda e Germania potrebbero infatti aggiungersi anche le elezioni in Italia, con risultati traumatici in tutti questi paesi che andrebbero ad aggiungersi all’uragano Trump e all’inattesa Brexit. E’ uno scenario possibile, forse anche probabile. E, quel che è peggio, trovare un modo per fermare tutto questo è molto difficile. Forse addirittura impossibile: è probabile che il tempo sia ormai scaduto e che la politica non sia più in grado di salvare se stessa.
Se è così, le battaglie decisive si giocheranno fuori dall’Europa. E’ possibile che le spericolate provocazioni di Trump innestino aspri conflitti negli Stati Uniti, una forte reazione popolare in America latina, un’accelerazione dell’ascesa cinese nel mondo… A tutto ciò potrebbe corrispondere l’emarginazione definitiva dell’Europa. Per riprendere in mano il loro destino, gli europei dovrebbero interrompere la spirale di una politica prigioniera di se stessa. Ma una politica che non è più in grado di salvare se stessa, può essere salvata solo da uno shock — culturale, sociale, morale — che viene da fuori. Ci vuole, cioè, un impulso straordinario: molte regole devono essere contraddette, molte abitudini sconvolte, molte posizioni rovesciate. In tutti i campi e ad opera di tutti gli attori. Anche i cattolici.
In questi giorni, i vescovi hanno messo in guardia la politica italiana da tentativi di scorciatoie e “diversivi”, tra cui potrebbero rientrare anche le elezioni anticipate. Sono parole che esprimono attenzione e preoccupazione, ma giudicare dall’esterno senza farsi coinvolgere fino in fondo potrebbe non bastare. E alla fine del 2017 potrebbe essere troppo tardi per porre rimedio a ciò che non si è fatto.