“Sosterrò fino in fondo il mio disegno di legge sulla riforma del Senato alternativo a quello presentato da Matteo Renzi. Il governo può proporre un suo testo di riforma, ma sbaglierebbe a porre su di esso una fiducia anche di fatto o pilastri insormontabili. Se De Gasperi nel 1948 si fosse comportato allo stesso modo oggi l’Italia non avrebbe una Costituzione, che invece passò con i voti di Dc, Pci e Psi”. Lo sottolinea Vannino Chiti, senatore del Pd che ha deciso di non ritirare il suo disegno di legge nonostante diversi inviti all’interno del partito, da ultimo quello di Pierluigi Bersani. Il nocciolo duro dei firmatari del ddl Chiti è un combattivo gruppo di senatori del Pd, cui si sono aggiunti 12 transfughi del Movimento 5 Stelle, nonché tre senatori di Sel, uno di Gal e uno del Gruppo per le Autonomie.
Senatore Chiti, perché ha deciso di non ritirare il suo ddl?
Abbiamo deciso di non ritirare il ddl per tre motivi. Il primo è che sono convinto che se si vuole ammodernare la Costituzione, sia necessario un progetto organico e non degli emendamenti contraddittori. Il secondo è che il ddl porta le firme di altri 37 parlamentari, non soltanto del Pd, e il fatto di non ritirarlo è anche una questione di rispetto nei loro confronti. In terzo luogo nelle procedure del Parlamento ora questo ddl sarà discusso dalla commissione Affari costituzionali. Io lo illustrerò il 23 aprile e quindi i relatori presenteranno un testo base. A quel punto si tratterà di vedere quali aspetti siano condivisibili e quali vadano cambiati.
Proporrete riforme “alternative” a quelle di Renzi anche su altri temi?
Non si può separare la riforma del Senato dal resto. Bisogna riflettere su una riforma del Parlamento che comprenda anche la Camera, il Titolo V e la legge elettorale che è già stata approvata alla Camera. Queste tre rispettive impostazioni dovrebbero essere coerenti, ma nella realtà non è così.
Che cosa non la convince in particolare per quanto riguarda l’Italicum?
L’Italicum è una legge iper-maggioritaria con tre soglie di sbarramento, che lascerebbe a casa partiti che hanno milioni di voti. In questo modo chi rappresenta le opposizione anziché misurarsi dentro alle istituzioni finirebbe per contrapporvisi. Nell’Italicum non ci sono né il collegio uninominale né le preferenze, ma i parlamentari sono di fatto nominati. Chi prende il 37% dei votanti, e non degli aventi diritto, conquista la maggioranza assoluta dei seggi. Perché ciò avvenga si possono inoltre sommare partiti che non raggiungono il 4,5% dei voti necessari per entrare alla Camera.
Ritiene che il Pd si possa spaccare sulla riforma del Senato?
Ritengo che sulla questione della riforma del Senato non si possa ragionare in termini di spaccatura, né del Pd né di Forza Italia. Sulle riforme costituzionali c’è un ruolo del Parlamento e dei singoli parlamentari, ed è quindi un errore basarsi solo sulle maggioranze di governo. Se De Gasperi avesse posto la fiducia o messo dei pilastri insuperabili, la Costituzione Italiana non sarebbe nata. La grande lezione dei padri costituenti è stata che si è rotto un governo di unità nazionale, Pci e Psi passarono all’opposizione, ma la Costituzione fu approvata quasi all’unanimità.
Cercherete di approvare il vostro ddl con un dialogo con Berlusconi e Forza Italia?
Il confronto è alla luce del sole, e il nostro disegno di legge è stato inviato a tutti i senatori. Tra i firmatari c’è un senatore di Gal, 12 fuoriusciti dal M5S, tre esponenti di Sel, uno del Gruppo delle autonomie. Ci sono inoltre moltissime convergenze tra la nostra proposta e quella del senatore Calderoli. Alcuni punti di contatto esistono inoltre con il disegno di legge presentato dal senatore Minzolini e da 37 senatori di Forza Italia. Non ci sono quindi trappole o meccanismi, il dibattito si svolgerà apertamente prima in commissione e poi in aula.
(Pietro Vernizzi)