Il messaggio più vero della commissione banche è che il capo del Pd Matteo Renzi ha protetto il cerchio magico ma ha perso il tocco magico. Ha perso cioè quella strana capacità che pareva possedere di “bucare” l’opinione pubblica e avere successo.
Renzi aveva infatti voluto la commissione d’inchiesta per proteggere la “sua” Elena Boschi per il caso della Banca Etruria. Era evidentemente convinto di poter provare le colpe di Banca d’Italia e Consob nella vicenda.
Dopo mesi di lavoro e tonnellate di inchiostro, si arriva alla fine dell’anno e a un soffio dalle prossime elezioni con una percezione generale che non è quella delle colpe di Bankitalia o Consob, come auspicava Renzi. Si ha l’impressione invece che la Boschi e l’uomo di fiducia Renzi, Marco Carrai, abbiano fatto pressioni indebite sul mondo bancario per salvare Banca Etruria, dove il padre della Boschi era nel consiglio di amministrazione.
In ciò forse non valgono nemmeno gli attenti e astuti distinguo posti da Rino Formica su queste pagine (un ministro non competente chiede delucidazioni su una banca al ministro dell’economia, non al capo di un’altra banca). Vale davvero il tono troppo arrogante o troppo difensivo di Renzi o Boschi o Carrai. E il tono qui è tutto.
Quando si dice “ti amo” una donna ti abbraccia o ti insulta a seconda del tono. Il tono dei tre amici è stridulo, puzza di falso. O peggio ancora: la storia degli ultimi mesi di Renzi, dopo la sconfitta al referendum, è stonata, sbagliata. E’ una intera vicenda fatta di sfumature e come tale andrebbe affrontata, invece che con risposte “giusto-sbagliato” da telequiz.
Vincitore in ciò è Renato Brunetta, che ha messo in un angolo la commissione guidandola con mano ferma verso questi risultati. Brunetta oggi sarebbe un trionfatore, non solo un vincitore, se si mostrasse alle telecamere in maniera presidenziale e non rabbioso e vendicativo. Il volto della rabbia e della vendetta non è quello di un partito moderato come Forza Italia dice di voler essere, ma quello del M5s, della Lega di Matteo Salvini e della formazione personale di Pietro Grasso.
Di conseguenza la combinazione dello sbaglio politico di Renzi e del suo Pd con l’eccesso di furia di Brunetta stanno trasformando l’inchiesta su Banca Etruria in un regalo per la coorte della protesta, che in realtà non ha fatto o detto nulla sulla vicenda.
Ciò non avrebbe conseguenze se questa coorte, come appariva fino a qualche giorno fa, procedesse in ordine sparso. In realtà, come questo giornale ha rivelato per primo, si sta preparando una specie grande alleanza degli oppositori.
Con nuovo realismo, nel M5s hanno capito che se non vogliono restare all’opposizione per sempre, rischiando in ciò il logoramento progressivo, devono tentare di andare al governo alleandosi con pezzi del vecchio establishment più vicino a loro. Questa decisione limita i rischi di ingovernabilità assoluta che ci sarebbero se il M5s invece aspettasse la maggioranza assoluta per governare.
A tre mesi dal voto è difficile capire se l’aritmetica degli eletti basterebbe per un governo a guida M5s. Un primo risultato però è chiaro: la nuova alleanza sbaraglia la precedente ritrovata centralità di Berlusconi, che fino a ieri pareva unico garante di governabilità.
In questo l’Italia, quasi vent’anni dopo, sembra simile alla Thailandia. Dopo la crisi finanziaria del 1997, il partito Thai Rak Thai di Thaksin Shinawatra vinse le elezioni sbaragliando un sistema di fragili equilibri tradizionali che reggevano il paese dal dopoguerra. Thaksin vinse le prime elezioni con una maggioranza larga ma non assoluta nel 2001. Successivamente cercò alleanze e consolidò il potere tanto da creare un blocco popolare che è ancora oggi maggioritario nel paese, nonostante il pesante golpe del 2006. Naturalmente quel consolidamento fu figlio di politiche innovative e di grande successo del suo governo.
In quell’esperienza ci sono varie lezioni per l’Italia. La prima è che non si può rispondere a una voglia di cambiamento se non con un governo efficiente. Chiunque vada al potere deve formare un governo capace, altrimenti porterà il paese verso la polverizzazione.
In ciò i media di Urbano Cairo, La7 e il Corriere della Sera, stanno avendo un ruolo importante. Enrico Mentana pare oggi mega direttore di un nuovo giornale-partito che sostiene M5s ma lo riporta anche nell’alveo della rispettabilità, un po’ come fece un tempo Repubblica di Scalfari con il Pci.
Oggi il governo pentastellato di Roma è un disastro, ma chi ha preceduto la Raggi non ha fatto meglio, quindi l’incapacità di governo di M5s almeno oggi non porta drastici cambiamenti di consenso contro di loro.