Le tensioni sui mercati per la formazione del governo italiano sono continuate anche ieri. Soprattutto negli ultimi giorni si sta aprendo una riflessione sull’euro che non si era mai vista: qualsiasi politica espansiva, sia il reddito di cittadinanza/flat tax, sia la spesa per infrastrutture, è incompatibile con le attuali regole europee. Dibattere di queste opzioni, nello scenario attuale, significa discutere anche della sopravvivenza dell’area euro così come l’abbiamo conosciuta.
Alle nostre latitudini questo dibattito sembra lunare e l’opzione appare quasi surreale come fosse ancora nel campo della fantapolitica. Il dibattito su questi temi, fuori dall’Italia, è molto più avanzato. Che l’euro senza riforme sostanziali sia destinato a subire pressioni sempre più forti è ormai assodato. L’euro sopravvive solo se l’Europa diventa una vera unione politica con la condivisione di onori e oneri. Di chiunque sia la colpa degli squilibri che si sono creati negli ultimi venti anni questo comporta che chi esce vincente dal processo di integrazione europea deve condividere i frutti della propria vittoria.
Se non cambia niente, il sistema produce intrinsecamente un trasferimento delle risorse dalla periferia al centro tedesco e una divergenza di performance economica che socialmente diventa insostenibile. L’esplosione dei populismi italiani è una conseguenza. Prendiamo a titolo di esempio quanto scritto da Zingales, in inglese, a proposito dell’intervento dell’Europa in Italia nel 2011: il ritardo della Bce a intervenire in Italia nel 2011 non “è stato dovuto a incompetenza, ma alla volontà esplicita di imporre una disciplina di mercato, che significa porre pressione sul governo per migliorare la sua situazione fiscale. È stata una forma di waterboarding che ha lasciato l’economia italiana devastata e gli elettori italiani legittimamente arrabbiati contro le istituzioni europee”.
Persino i tedeschi più intelligenti riconoscono il vicolo cieco di un Paese, l’Italia, che ha il secondo surplus primario più alto d’Europa che fa i compiti sul deficit, ma che non riesce a trovare una via per lo sviluppo. La ragione profonda è che l’Europa impone una disciplina fiscale, giusta, ma non offre nessuna politica di rilancio. In un’ottica di crescita gli italiani chiaramente dovrebbero pagare di più perché sono entrati nell’euro con un debito più alto, e questo è giusto, ma non possono essere condannati a vincolare tutte le tasse raccolte al rispetto dei deficit in qualsiasi condizione economica, anche in fasi di recessioni tremende, senza spendere un euro per fabbriche o strade. Quello che si genera è un colossale trasferimento di risorse da periferia a centro e in Italia l’esplosione dei populismi e delle differenze tra aree ricche e povere; tagliare dipendenti statali in fasi recessive o in una situazione di costante pressione esterna sui vincoli di deficit è politicamente impossibile; si taglia mentre si investe se non addirittura dopo.
Qualcuno si chiederà come mai la Germania sia l’unica economia sviluppata che negli ultimi dieci anni ha ridotto il suo debito. Non ce l’hanno fatta gli americani, non ce l’hanno fatta gli inglesi, né i giapponesi né i cinesi. Perché? Perché l’euro lavora strutturalmente per spostare risorse verso il centro, protetto dalle istituzioni europee, e perché il centro gioca “gratis” con una valuta che non è la sua. La banca centrale svizzera stampa moneta da anni, “pagando”, per evitare una rivalutazione della sua moneta che la Germania ha gratis. Oltretutto, in questa situazione, si producono due corollari: il primo è che gli italiani sono deresponsabilizzati, il secondo è un allargamento della forbice tra ricchi italiani e poveri perché i primi con l’euro non hanno pagato le conseguenze del declino italiano.
Oggi si sta arrivando al redde rationem e 154 economisti tedeschi scrivono tre giorni fa alla Faz per opporsi alle proposte francesi di maggiore integrazione. Dal punto di vista tedesco vale sempre la solita narrazione degli italiani spreconi, furbi e scrocconi che vogliono vivere al di sopra delle loro possibilità sulle spalle del povero contribuente. L’attuale struttura europea ha permesso invece allo Stato tedesco un accumulo di surplus fiscali e commerciali senza precedenti al punto che il suo debito scende anno dopo anno a differenza di ogni altra economia sviluppata e senza una virgola di rivalutazione del cambio. I tedeschi però non accetteranno mai, neanche morti, di condividere con gli altri, inclusi italiani e greci, la destinazione delle proprie tasse.
Noi italiani non riusciamo nemmeno a concepire che l’euro possa finire, ma fuori dall’Italia la questione è un tema caldo da almeno due anni. Senza unione politica l’Europa o fallisce o diventa un impero tedesco. Questo è chiaro a tutti. La seconda opzione non verrebbe permessa.
Rimaniamo convinti che la Brexit non sia stata un incidente. Gli inglesi sono usciti dal mercato unico perché convinti del suo fallimento; se il mercato unico, l’Europa, fosse un progetto promettente o destinato al successo non si sarebbero mai preoccupati di avere in mano l’opzione di uscirne con i minori danni di tutti prendendo tutti in anticipo.
La questione dell’euro sta arrivando appunto al redde rationem; il governo italiano nella misura in cui pone la questione di una politica economica anticiclica indipendentemente dai provvedimenti in cui si traduce in realtà pone la questione dell’euro. Quello che ci preoccupa in questo momento è che in una fase così traumatica, in cui le contraddizioni dell’euro inevitabilmente arrivano a una soluzione, l’Italia si presenti con un governo senza credibilità internazionale, che propone di tagliare l’alta velocità e di chiudere le acciaierie che danno lavoro a 10mila persone in aree del Paese depresse per pagare redditi di cittadinanza e per abbassare le tasse. In sostanza, l’Italia si libera del giogo tedesco, ma in una situazione di fragilità e di debolezza politica estrema che rischiano di renderla non protagonista di questo processo e della nuova fase, ma oggetto di mille interessi geopolitici e finanziari.
L’Italia ha vissuto gli ultimi anni con il paraocchi rifiutandosi di vedere quello che succedeva dentro l’euro, mentre Francia e Germania capivano benissimo perché non funzionava e cosa si sarebbe dovuto fare, e fuori dall’Europa. Anche per questo oggi subisce questo processo senza alcun protagonismo. Bisognerebbe almeno chiedersi cosa succede se l’euro chiude, perché i tedeschi non pagano e perché nessuno ha interesse a un Europa tedesca con la Germania libera di portarsi dietro un continente nella collocazione geopolitica che oggi sembra preferire.
Noi italiani che fine facciamo? Di chi ci possiamo fidare? Da che parte verremo tirati e perché? Di certo un governo antieuropeista o populista proprio in questa fase è una grande coincidenza.