«Chi ritiene che uscire dall’euro getterebbe l’Italia nel baratro non tiene conto delle reali condizioni in cui avvenne l’ingresso del nostro Paese nella moneta unica. Nei dodici anni successivi il rapporto debito/Pil è aumentato proprio perché la Banca d’Italia non aveva più la capacità di intervenire sul mercato primario». Sono le osservazioni di Antonio Maria Rinaldi, professore di Economia internazionale all’Università di Chieti-Pescara, che smonta pezzo per pezzo gli assiomi del manifesto pro-euro a firma di alcuni economisti come Jean-Paul Fitoussi, Fabrizio Saccomanni e Lorenzo Bini Smaghi.
Che cosa ne pensa dei presupposti economici su cui si basa il manifesto pro-euro?
Non condivido l’impostazione dei firmatari del manifesto, i quali fanno riferimento esclusivamente alla questione della svalutazione legata a un ritorno alla moneta nazionale. Il principale effetto di questo ritorno starebbe però nel riappropriarci delle nostre politiche economiche senza i cosiddetti vincoli esterni. Ci si dimentica inoltre che nessuno è contro l’Europa, anzi io ritengo che la mia posizione sia l’unica autenticamente europeista. Il concetto dei padri fondatori dell’Europa va assolutamente conservato e tutelato. Considero però l’aggregazione monetaria come il primo elemento di disgregazione dell’Europa stessa.
Pur presentando diversi aspetti problematici, ritiene che l’impostazione dell’euro possa essere riformata?
Il modello economico su cui si basa la moneta unica è completamente errato e non è modificabile. Il mandato fondamentale della Bce è la stabilità dei prezzi, e senza intervenire a questo livello è impossibile modificare la costruzione del modello economico. Pensare a una riforma dell’euro senza cambiare tutto ciò, è come avere una macchina che funziona a benzina e pretendere di farla andare a diesel: perché ciò avvenga occorre cambiare tutta la macchina.
I pro-euro sottolineano che l’ingresso nella moneta unica fu deciso dal parlamento italiano a grande maggioranza …
È vero che il Parlamento ha ratificato Maastricht, ma non c’è stato nessun coinvolgimento dell’opinione pubblica ed è totalmente mancato un dibattito. Maastricht è stato ratificato in ultimo dal Senato nel settembre 1992, tre giorni dopo il discorso di Amato a reti unificate e un’estate di speculazione sulla lira. I mercati avevano perfettamente intuito che l’Italia non avrebbe mai potuto rispettare i parametri di Maastricht.
Tornare alla lira farebbe lievitare il nostro debito?
Il debito italiano è effettivamente alto, ma dobbiamo comprendere le vere ragioni per cui è aumentato. Il peccato originale è stato il divorzio tra la Banca d’Italia e il Tesoro, in seguito a cui la prima non aveva più l’obbligo di intervenire sul mercato primario. I tassi sono stati quindi lasciati alla determinazione del mercato con un’asta competitiva i cui effetti sono stati deleteri ai fini dell’aumento degli stessi tassi. In 12 anni il rapporto debito/Pil è aumentato per effetto dell’aumento dei tassi.
In fondo da dove nasce la sua posizione anti-euro?
L’euro è una moneta che condiziona l’economia reale, mentre nel resto del mondo è l’economia reale che plasma la moneta di riferimento. Questo è il motivo principale per cui l’euro non può funzionare. L’Europa è composta da 28 Paesi, di cui solo 18 adottano la moneta unica, mentre per gli altri vige la deroga prevista dagli articoli 139 e 140 del Trattato di Lisbona.
L’Italia dovrebbe fare come Polonia e Regno Unito, che pur appartenendo all’Ue sono rimaste fuori dall’euro?
Senza dubbio. In questo momento chi ha le migliori prospettive di crescita e di occupazione sono proprio quelli che non adottano l’euro, ma che hanno i vantaggi del mercato comune europeo. Basti vedere che cosa è riuscita a fare la Polonia negli ultimi anni, pur svalutando la sua moneta del 25-30%, o lo stesso Regno Unito. Occorre fare delle scelte, e noi sappiamo benissimo che per la stabilità dei prezzi in Europa sacrifichiamo l’occupazione.
(Pietro Vernizzi)