Nel redigere il Documento di economia e finanza, via Venti Settembre e palazzo Chigi hanno marcato visita, per utilizzare il gergo militare. Oppure fatto i furbetti del quartierino. Il Def, infatti, non parla di quello che Simon Baptist, Capo Economista dell’Economist Intelligence Unit, la società di consulenza economica e finanziaria internazionale parte integrante del Gruppo The Economist, definisce, in una lettera riservata agli abbonati, “il rischio globale chiave”: l’esito del referendum sulla permanenza o meno della Gran Bretagna nell’Unione europea.
Quasi in contemporanea, il rapporto di primavera del Fondo monetario internazionale ha lanciato la medesima preoccupazione. Anzi l’ha ampliata, avvertendo che quale sarà l’esito della consultazione, l’Europa e il mondo avranno una fase difficile a ragione della fibrillazione dei mercati; ci sarà in ogni caso sia nel breve periodo (le settimane precedenti il referendum quando Borse e cambi seguiranno i sondaggi e le previsioni in modo spasmodico) e in quelle successive (specialmente in caso di uscita dalla Gran Bretagna dall’Ue a ragione della lunga trattativa tra Londra e l’Ue sul “dopo”; ma anche in caso di permanenza, a motivo delle forti tensioni interne).
L’Italia rischia di essere particolarmente colpita per vari motivi: a) palazzo Mezzanotte in Piazza Affari a Milano è parte integrante del London Stock Exchange e, quindi, comunque vadano le cose, le tensioni sui mercati sarebbero avvertite in modo particolarmente acuto; b) sin dagli anni Sessanta, Roma ha sponsorizzato l’ingresso della Gran Bretagna in quella che allora si chiamava la Comunità economica europea e cercato di avere un rapporto privilegiato con Downing Street al fine di equilibrare un supposto (o vero) asse Parigi-Berlino, asse che verrebbe rafforzato quale che sia il risultato del referendum; c) le fibrillazioni sui mercati verrebbero avvertite dai Paesi ad alto debito pubblico in rapporto al Pil più che da quelli con finanza pubblica e debito nei parametri di Maastricht e del Fiscal compact d) a fronte di un più forte asse Parigi-Berlino, Roma potrebbe puntare al più a guidare quello che viene chiamato il “Club Med”, una “compagnia di giro” secondaria e piena di guai (Cipro, Grecia, Malta, Portogallo e Spagna), con l’implicazione che la sua voce a Bruxelles sarebbe ancora meno ascoltata.
È possibile che si tratti di una dimenticanza o di una svista. Ciò comporterebbe, subito dopo il referendum britannico, rimettere mano al Def (rivedendone le stime macroeconomiche e finanziarie) senza attendere settembre per presentare il solito aggiornamento alla vigilia del disegno di stabilità. Difficile, però, pensare che a via Venti Settembre e a palazzo Chigi si sia così sprovveduti. Più probabile un giochetto da “furbetti del quartierino”: dopo il referendum britannico, imputare ai problemi interni della “perfida Albione” una crescita del Pil nel 2016 ben inferiore all’ipotetico 1,2 % (stima a cui lo stesso Fmi ha detto di non credere), ma prossima allo 0,5-0,7%. In questo caso, si invocherebbero “circostanze eccezionali” per la clemenza dell’Ue.
Purtroppo, la Commissione europa non agisce come i giudici dello shakespeariano Mercante di Venezia che si fanno persuadere dall’arringa di Porzia, travestita da avvocato, su the quality of mercy (la qualità della misericordia). Il giudice istruttore Jyrki Katainen, in visita a Roma, ha già avvertito che di geremiadi ne ha ascoltate già troppe e che l’Italia ha già goduto di più flessibilità di tutti.
Per fortuna che c’è San Gennaro… direbbe il mio amico Paolo Isotta. Ma pare si tratti di un Santo poco venerato a Rignano in Arno, Pontassieve e Arezzo.