La Germania è spesso indicata dagli esperti europei come un modello di riforme e di sviluppo, dove la disoccupazione è ai minimi e un mercato del lavoro flessibile ha creato benessere anche tra le fasce medio-basse della popolazione. La giornalista economica austriaca Patricia Szarvas ha smontato questo mito, basandosi su dati e indagini scientificamente affidabili, e ora mette in guardia l’Italia dal commettere l’errore di imitare il modello tedesco. Dalle statistiche ufficiali sulla Germania numerosi lavoratori sono classificati come assunti a tempo indeterminato, mentre nella realtà guadagnano 450 euro al mese per svolgere lavori umili come pulire i bagni o rifare il manto delle strade. E i loro contratti continuano a essere rinnovati di tre mesi in tre mesi, senza nessuna possibilità di assunzione. Szarvas lo spiega nel libro “Ricca Germania. Poveri tedeschi. Il lato oscuro del benessere”, pubblicato in Italia dalla casa editrice Ube.
Perché ritiene che le riforme abbiano impoverito la società tedesca?
La riforma del lavoro introdotta sotto Schroeder ha avuto diversi aspetti positivi, in quanto ha aumentato i livelli di occupazione. Il problema però è che la maggioranza dei nuovi lavori è a reddito basso. Nelle statistiche appaiono come lavori full time a tempo indeterminato, mentre nella realtà sono contratti temporanei e sottopagati. Liberalizzando il mercato del lavoro, Schroeder ha dato al settore privato la possibilità di assumere lavoratori a basso costo. In questo modo l’ex Cancelliere ha rilanciato la macchina macroeconomica, ma ha aumentato il numero di lavoratori che hanno un reddito così basso che non basta per vivere. Lo Stato si trova così a pagare sovvenzioni con le tasse degli altri tedeschi per consentire a queste persone di arrivare a livelli di reddito tali per cui se la cavano abbastanza. Si è creato così un distacco tra la ripresa economica del Paese e il declino vissuto dalla maggioranza della gente.
Non è pur sempre meglio avere un lavoro sottopagato piuttosto che essere disoccupati?
Sì è vero, però le riforme hanno trasformato la Germania da uno Stato di welfare esagerato a un sistema del tutto privo di qualsiasi forma di welfare che ruba alla persona la stessa dignità. Le riforme introdotte cercano di stimolare la gente a trovare un lavoro. Sono d’accordo sul fatto che un disoccupato non possa stare a casa sdraiato davanti alla tv, ma che debba correre a cercarsi un lavoro. D’altra parte ritengo che si debba creare anche la motivazione a trovare un lavoro di qualità. Molti tedeschi guadagnano solo 450 euro netti al mese, non hanno alcun orgoglio nel loro lavoro e non hanno alcuna possibilità di sviluppare una carriera. Molte di queste occupazioni sottopagate non sono veri lavori, bensì posizioni atipiche, rinnovate ogni volta per periodi di tre o sei mesi.
L’austerity ha giocato un ruolo in questo declino?
Sì. Troppo spesso l’austerity è stata fatta sulla pelle dell’impiegato o dell’operaio. Sono i bassi redditi che alla fine guadagnano di meno e devono pagare più tasse per aiutare la ripresa. Questo sistema va bene fino a un certo punto, ma se i bassi redditi non hanno abbastanza soldi per spendere e creare una domanda interna, sostenendo l’economia domestica, si finisce per indebolire sempre di più lo stesso settore produttivo del Paese.
La Germania ha perlomeno beneficiato dall’ingresso dell’euro?
L’euro è stato problematico per l’Europa intera. L’errore è stato quello di introdurre l’euro senza avere un mercato comune, uno stesso sistema finanziario, regole condivise per fisco e banche. È mancata la sottostruttura per collegare tutti questi paesi europei. D’altra parte è vero che, poiché ha un costo più basso per finanziarsi, la Germania ha potuto usufruire dell’euro per esportare a un tasso di cambio vantaggioso.
(Pietro Vernizzi)