La domanda che molti si pongono in questo periodo è: quando usciremo da questa crisi? Non credo che in questo momento si possa dare una risposta seria a questo interrogativo appunto perché questa è profonda e allo stesso tempo strutturale. Si può dare una risposta seria a un altro quesito: come uscire da questa crisi?
La pratica della libertà impone all’individuo una disciplinata e sistematica educazione della propria volontà nel quadro sempre mobile e mutevole dell’interesse collettivo. La libertà è l’aspetto teorico del diritto e quest’ultimo è l’aspetto pratico della libertà. Ebbene, negli ultimi venti anni, come ha rilevato Panebianco in un recente editoriale, il libero mercato ha oscillato fuori dal quadrante del diritto e per tale ragione ha fallito per eccesso, mentre gli Stati hanno fallito per difetto rinunciando a esercitare alcune loro funzioni essenziali. In tale contesto, le banche hanno iniziato a battere la moneta del debito che ha ingenerato nel cittadino una dipendenza dal bisogno, rendendolo estremamente debole e vulnerabile.
Il futuro impone il ritorno degli Stati i quali si dovranno impegnare a condividere poche ma essenziali regole forti, tenendo presente gli interessi e le esigenze che vengono dal basso. Nel contempo le banche devono tornare a essere autenticamente funzionali allo sviluppo e la classe dirigente, gli economisti e le istituzioni dovranno progettare una nuova forma di capitalismo fondato sulla centralità della persona e non sull’esercizio del potere.
Nel frattempo, non ci possiamo permettere di destinare risorse a pioggia indipendentemente dal progetto industriale necessario al Paese: implorare agevolazioni, risorse e aiuti può diventare dannoso se queste rafforzano le rendite e gli sprechi e non diventano prodromiche ed essenziali a elaborare e sostenere un progetto industriale adeguato al nostro Paese. La ripresa economica, la domanda di posti di lavoro e il benessere non si realizzeranno incentivando i settori in cui esiste sovrapproduzione e sovra consumo, ma occorrerà sostenere il progetto industriale dell’economia della conoscenza, l’unica in grado di sostenere e sviluppare i settori in cui esistono bisogni reali non soddisfatti.
E questo richiede investimenti finalizzati all’adeguamento infrastrutturale del nostro Paese alla media Ue, attraverso emissioni speciali di titoli di debito, come quelli suggeriti dal Prof. Quadrio Curzio, che non incidano sui limiti imposti dalle regole di Maastricht. In tal modo le istituzioni potrebbero provvedere con la spesa pubblica a investimenti infrastrutturali difficilmente finanziabili dal mercato, dato i lunghi orizzonti temporali e le finalità scientifiche che li caratterizzano.
E le istituzioni hanno un altro ruolo essenziale: quello di incentivare le imprese a investire in innovazione e ricerca anche attraverso agevolazioni fiscali e finanziarie alle filiere produttive orizzontali e verticali; quello di promuovere la qualità e lo stile del made in Italy anche evitando le inutili missioni commerciali, magari sostituendole con il supporto alla presenza delle imprese alle fiere mondiali.
Anche gli imprenditori hanno una grossa responsabilità per il futuro, una volta rassicurati dalle banche e dal governo circa l’intenzione di rimettere nel circolo produttivo le risorse finanziarie disponibili: devono seriamente pensare di ricapitalizzare le proprie imprese o permetterne la ricapitalizzazione aprendole al mercato dei capitali.
Da ultimo un’annotazione: il sistema pensionistico ha bisogno di riforme e l’esecutivo ha iniziato a ipotizzare di innalzare l’età pensionabile nel pubblico impiego. Per il futuro dovrà essere fatta la stessa cosa anche per il privato, ma l’attuale crisi impone un percorso a zig zag. Come ha rilevato correttamente il ministro Sacconi, in questa fase di crisi economica occorre tutelare i più deboli, che non sono i giovani precari, ma che sono quei lavoratori che hanno perso il posto di lavoro e che difficilmente riusciranno a trovare una collocazione sul mercato.