Il debito pubblico italiano nel mese di ottobre ha raggiunto quota 2.157,5 miliardi di euro e dall’inizio dell’anno è aumentato di 95,6 miliardi (23,5 in un solo mese). È quanto emerge dall’ultimo bollettino “Finanza pubblica, fabbisogno e debito” della Banca d’Italia. L’aumento è composto per 64,4 miliardi dal fabbisogno delle amministrazioni pubbliche e per 31,7 miliardi dalle disponibilità liquide del Tesoro. Abbiamo chiesto un commento a Mario Deaglio, professore di Economia internazionale all’Università di Torino.
Complessivamente i nostri livelli di debito sono preoccupanti o è tutto sotto controllo?
Non si può dire che sia proprio tutto sotto controllo. Alla base del debito ci sono due voci molto consistenti. La prima è il sistema pensionistico che andrà in pari nell’arco di un decennio, ma che per adesso non ha ancora raggiunto il pareggio, visto che oggi in Italia ci si continua a ritirare dal lavoro con una parte della pensione che non è pagata dai propri contributi. La seconda voce riguarda gli investimenti pubblici: costano parecchio e le notizie di cronaca di questi giorni ci mostrano perché. Quando gli altri paesi ci chiedono di fare le riforme, ciò comprende anche i criteri di assegnazione degli appalti.
Quanto incide la spesa per gli interessi sul debito?
Negli ultimi mesi i tassi d’interesse sono scesi, e quindi la spesa per interessi diminuisce. Il vero problema è che la spesa pubblica continua a registrare un aumento tendenziale soprattutto per le pensioni, in un Paese che invecchia sempre di più. Tutto questo però rientra nella normalità. D’altro lato la nostra appartenenza all’Ue, che ha molti altri vantaggi, ha voluto dire che ci siamo impegnati insieme agli altri a essere tra i paesi sani che dovrebbero aiutare quelli meno sani. Ciò può avere influito in modo molto significativo su questo aumento di debito che è stato pari all’1% in un mese.
La nostra appartenenza all’Ue fa aumentare il debito?
Diciamo che una parte non trascurabile dell’aumento deriva dagli aiuti che l’Italia versa al Fondo salva-Stati europeo per sostenere la Grecia. L’aumento non riguarda soltanto operazioni interne, dove il debito è più o meno stabile, bensì anche gli impegni finanziari dell’Italia nei confronti dell’Ue.
Perché nei suoi ripetuti moniti, Juncker non tiene conto degli aiuti pagati dall’Italia ai paesi in difficoltà?
Il richiamo dell’Europa sul debito deriva dal trattato di Maastricht, il quale prevede che uno dei requisiti per essere ammessi in Europa è che il debito sia pari al 60% del Pil. Noi eravamo a circa il 110%, e si fece un’eccezione per l’Italia la quale si impegnò a un percorso di riduzione del debito, con la prospettiva di arrivare al 60% in 10 o 15 anni.
L’Italia non ha rispettato i suoi impegni?
Il debito del nostro Paese è sceso per due o tre anni ma poi ha ricominciato a salire. L’obiezione all’Italia è che siamo fuori dai parametri di Maastricht sul debito come quantità e come tendenza, e che se facciamo parte del “club” è giusto che anche noi paghiamo le nostre quote.
Perché il nostro Paese non riesce a tagliare il debito?
La spesa strutturale dell’Italia, legata a Pubblica amministrazione e pensioni, continua ad aumentare perché aumenta il numero di pensionati, la popolazione invecchia e la vita media si allunga. Il modo con cui questo governo vuole risolvere il problema del debito è vendendo dei beni pubblici.
Lei ritiene che ci sia anche un’incompetenza da parte degli organismi europei che continuano a bacchettare l’Italia?
Più che di incompetenza parlerei di miopia: nella burocrazia Ue ciascuno guarda il suo settore e non il quadro generale. Da un punto di vista politico inoltre l’Italia vuole contare, contribuendo fortemente a prendere decisioni europee, e quindi le si chiede di pagare come fanno tutti. Non è che ci guardino con una particolare bontà, nel momento in cui siamo dei partner dell’Ue: siccome gli altri paesi pagano dobbiamo pagare anche noi. Quando ci sono i fondi di intervento sui mercati finanziari da riempire, l’Italia è chiamata a contribuire come tutti.
(Pietro Vernizzi)