Matteo Renzi va avanti come un treno, il Quirinale ci scommette e Giorgio Napolitano dà idea di poter lasciare nel giro di un anno. Non stiamo nella testa del presidente, ma ho come la sensazione che coltivi l’idea di poter soffiare sulle 9 candeline dei 9 decenni, il 29 giugno del prossimo anno, nel tepore di casa sua, accanto alla moglie Clio cui aveva solennemente promesso di lasciare l’anno scorso. Poi si sa come è andata, e l’anziano inquilino del Colle più alto ha strappato alla consorte una “proroga” con la promessa poi esplicitata alla Camera nel discorso di insediamento del 22 aprile dell’anno scorso che la sua disponibilità si sarebbe protratta “fino a quando la situazione del paese e delle istituzioni me lo suggerirà e comunque le forze me lo consentiranno”.
Esattamente un anno dopo un bilancio si può tentare. La “buona battaglia” cui Napolitano decise di dedicarsi alle soglie degli 88 anni è più vicina o più lontana dall’obiettivo finale? Diciamo che è più lontana rispetto a quanto ipotizzato dall’amico di sempre Antonio Macaluso, che aveva parlato appena un mese fa del prossimo autunno beccandosi la singolare smentita dell’amico sul Colle circa “sollecitazioni o previsioni che impegnano semplicemente coloro che le esprimono”. Ma il Macaluso si riferiva a un possibile abbandono per missione fallita, l’impressione invece che questo intervento di Napolitano sul Corriere, se avvalora l’ipotesi di un fine mandato entro un anno, lo faccia, in questo caso, scommettendo in positivo sulla messa in sicurezza delle riforme e del Paese, le due questioni che proprio Macaluso, sul Sussidiario ricorda essere la mission stessa del suo “eccezionale” secondo mandato. In quanto tale da non protrarsi, nell’idea di Napolitano, oltre le necessità fisiologiche.
Che cosa è accaduto nel frattempo? Nel frattempo è accaduta quella inaspettata cena sul Colle Napolitano-Renzi dello scorso 10 febbraio nella quale a sorpresa il capo dello Stato, faccia a faccia con l’allora sindaco di Firenze, aprì all’ipotesi del cambio della guardia a Palazzo Chigi. Sacrificando la personale stima e simpatia immutata per il premier allora in carica, Enrico Letta, allo scopo di privilegiare la strada delle riforme che Renzi aveva mostrato di poter percorrere con passo più deciso e con maggiori probabilità di successo.
In questi due mesi come in un’era geologica Napolitano ha potuto sperimentare un cambiamento metodologico e comunicativo totale rispetto al suo pupillo. L’inquilino del Colle ha osservato questa mutazione politico-mediatica invalsa a Palazzo Chigi con una certa inconfessabile, e in certi momenti persino confessata, perplessità. Ma Napolitano è persona pragmatica, sa bene che il fuoco si fa con la legna che c’è, e attraverso Matteo Renzi, per simpatico o antipatico che lo si ritenga leader del maggiore partito italiano, passa ora una speranza per il Paese.
Con lo spread sceso al livello accettabile di 160 il Quirinale vede realizzata una delle pre-condizioni post-emergenziali fissate per il fine mandato. L’altra, appunto, si va consolidando con le riforme ben incardinate, con la legge elettorale che ha già superato il primo scoglio alla Camera e con la riforma costituzionale “taglia-Senato” che si accinge a muovere il primo passo proprio a Palazzo Madama, con tutte le incognite del caso, legate ai dubbi sul fatto che possano essere i senatori stessi a votare la loro non rieleggibilità.
Con questo intervento Napolitano ha fatto la sua scommessa in positivo, ma lo si può leggere senza sbagliare anche come un ammonimento. Un ammonimento a prendere questo treno, senza contare su un prolungamento ulteriore della sua disponibilità. Di mezzo c’è l’incognita delle elezioni europee. Con il rischio non trascurabile accreditato da tutti i sondaggisti che il secondo partito diventi M5S, di fatto delegittimando l’interlocutore naturale di Renzi sulle riforme ossia Silvio Berlusconi, che potrebbe trovarsi retrocesso ad attore numero 3 della scena. Ma c’è anche chi pensa il contrario. E cioè che un successo dell’antipolitica grillina possa indurre il resto del mondo (Lega ed estrema destra esclusi) a stringere un patto più forte per condurre in porto la nave delle riforme, onde non venire travolti dall’onda di piena anti-sistema.
E noi che cosa dobbiamo sperare, pur dai diversi angoli visuali della politica e nelle diverse condizioni sociali (chi con un lavoro, chi senza, chi a rischio di perderlo)? Tutto sommato dobbiamo scommettere anche noi, che il nonnino della Repubblica, nel giugno del 2015, possa festeggiare i 90 anni a casa sua. Vorrà dire, tutto sommato, che l’abbiamo sfangata anche stavolta, e che sperare – sebbene la speranza non debba morire mai – è di nuovo possibile, per tutti, chi più chi meno.