«Un primo passo sia pure timido nella direzione giusta è stato fatto e adesso ci si attende che sia per le famiglie sia per le imprese ci sia maggiore coraggio». È il commento di Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, dopo che l’Istat ha ha presentato le proprie stime sugli effetti delle misure del governo contenute nel Def per l’economia italiana. Le famiglie più povere guadagneranno 714 euro l’anno (quelle più “ricche” 451 euro) grazie allo sconto Irpef da 80 euro mensili. L’effetto sulla crescita sarà pari allo 0,1%, mentre le imprese coinvolte dai tagli Irap saranno due su tre. Anche la Banca d’Italia ha presentato le sue osservazioni sul Def alla commissione Bilancio della Camera, ponendo in particolare l’accento sui saldi di finanza pubblica.
Secondo l’Istat, gli 80 euro di Renzi produrranno un effetto sulla crescita pari allo 0,1%. Che cosa ne pensa del fatto che sia un effetto così limitato?
Il valore di questa iniziativa non va misurato esclusivamente in termini di impatto assoluto, ma nella sua possibilità, se le condizioni saranno favorevoli, di dare un segnale di aspettativa migliore alle famiglie. La questione centrale è capire se abbiamo toccato il fondo e adesso, sia pure lentamente, cominciamo a risalire. Non basta però un provvedimento come questo, molte altre cose vanno fatte, ma certamente è indispensabile restituire potere d’acquisto stabile in modo definitivo almeno alle famiglie con reddito basso o medio-basso.
Il taglio dell’Irap interesserà solo due imprese su tre. Anche in questo caso l’impatto sarà limitato?
Così come la platea delle famiglie interessata dal taglio Irpef è stata limitata, in quanto copre circa un terzo delle famiglie, nel caso delle imprese a essere coinvolte sono circa i due terzi. Un primo passo sia pure timido nella direzione giusta è stato fatto e adesso ci si attende che sia per le famiglie sia per le imprese ci sia maggiore coraggio.
Davvero le aspettative possono avere un ruolo tale da rilanciare l’economia?
No, le aspettative “appese sulle nuvole” non contano nulla, anzi fanno solo male. Le aspettative sono importanti ma devono ancorarsi a fatti concreti. Il taglio di Irpef e Irap deciso dal governo Renzi non sarà una rivoluzione, ma sono pur sempre dei fatti. Il vero punto è rendere stabili questi fatti, e soprattutto estenderli in particolare riducendo la pressione fiscale.
Come è possibile estenderli, dal momento che la spending review per il 2015, secondo la Banca d’Italia, potrebbe non essere sufficiente?
Noi stiamo avendo un beneficio inatteso, che è quello di una riduzione dello spread, e quindi di un minor peso dei tassi d’interesse sul debito pubblico. Se ciononostante la tendenza è quella ad applicare regole che portano a ulteriori tagli sostanziali di spesa, il rischio forte è di riprendere con una mano ciò che si è dato con l’altra. Nessuna manovra, per quanto raffinata, è in grado di tradurre ciò in benefici a livello della singola famiglia o impresa.
Secondo Bankitalia, il rispetto del Fiscal compact sarebbe messo a repentaglio “se gli andamenti macroeconomici dovessero discostarsi, anche di poco, dalle previsioni contenute nel Def”…
Significa una cosa molto semplice, e cioè che questa è una stagione di elezioni. In questo contesto bisogna essere molto chiari. Almeno per quanto mi riguarda il processo europeo è fuori discussione. Il rischio è che a prescindere dalle regole il meccanismo si rompa, e quindi bisogna cambiare le regole stesse.
In quale direzione bisogna andare?
Alla base c’è una visione diversa del funzionamento dell’economia. Nel 2012-2013 gli italiani hanno compiuto sacrifici che potevano essere evitati. Ora lo stesso schema è riproposto dal Fiscal compact, che comporta una riduzione della spesa pubblica pari ad almeno il 5% ogni anno. Il moltiplicatore è dunque negativo, soprattutto in un momento in cui la crescita non è particolarmente elevata.
(Pietro Vernizzi)