Continua lo scontro nel Pd. Renzi insiste sull’election day a giugno ma non sa come ottenerlo e apre alle primarie; Bersani sfida il segretario pensando a un nuovo Ulivo e D’Alema tesse la sua tela a sinistra. A fare da sfondo, il confronto politico, in continuo movimento eppure al massimo dell’immobilità, sulla legge elettorale. Peppino Caldarola, uomo di sinistra, opinionista ed ex direttore de l’Unità, esorta a non lasciarsi fuorviare dalle dichiarazioni e dalle formule elettorali e a concentrarsi sui personaggi della vicenda. “Renzi parte da due presupposti. Il primo è che non sarà lui a vincere la partita. Questo ormai lo sa benissimo. Ma se la perde lui, la devono perdere anche gli altri, ed è determinato a fare di tutto perché questo accada”.
E il secondo?
Tutti dicono che cambia il sistema politico, che finisce il maggioritario, che tornano i partiti e via dicendo. Ma lui ha un’altra idea. Si torna ai partiti? Non proprio: ai partiti sì, ma di leadership. Qualcosa di diverso rispetto a ciò che pensano a sinistra; un partito alla Grillo, che va su tutti i territori e là, grazie al carisma del leader, raccoglie consensi.
Una concezione di partito ampiamente confermata negli States e in Europa.
Sì. Chi ve lo ha detto che si esce da questo sistema politico con i partiti tradizionali di sinistra o di destra? Guardate Trump, e perfino la Le Pen. Cari Bersani e D’Alema, davanti a Grillo e Salvini il vostro partito di sinistra è fuori gioco. Invece potrebbe essere in gioco un mio partito.
Con quali contenuti?
Qui arrivano i problemi. A mio avviso tutta la tematica del blairismo e della terza via è esaurita, ma Renzi potrebbe partire dalla convinzione — propria di persone come Romano Prodi, Andrea Romano, Michele Salvati — che sarà quell’idea a reimporsi dopo il “buio” di questi anni.
Non scommetterebbero su un fallimento storico?
Secondo me sì: il fatto è che i grandi temi della crisi sociale sono estranei alla cultura di Renzi. Sono invece paradossalmente presenti in modo abbondante sia a destra che a sinistra: in questo Trump e Sanders si toccano. Mentre il sistema che Renzi auspica, quando ha comandato il mondo, è andato a sbattere.
Il Pd c’è ancora?
Il Pd è ormai una fictio iuris. Renzi e i suoi avversari pensano rispettivamente di prendere il Pd e di sbattere fuori gli altri (Renzi) o di ridurre Renzi a una componente minoritaria (Bersani e D’Alema). La rottura c’è perché il “popolo del Pd” si è già scisso. Una parte non vota più, chi è rimasto si è messo o la maglietta di Renzi oppure quella di Emiliano e D’Alema. E nessuno ha intenzione di togliersela.
Dunque parlare di scissione o non scissione…
E’ interessante solo ai fini della sigla da presentare agli elettori, ma se parliamo di realtà politica il Pd come partito non esiste più.
Bersani freme per fare l’Ulivo 4.0, D’Alema tesse a sinistra. Che cos’hanno in mente?
Bersani è convinto che Renzi sia il bubbone che ha fatto degenerare un progetto; quindi senza Renzi quel progetto torna in pista, nella sua versione originale che è l’Ulivo. D’Alema invece colpevolizza meno Renzi, vedendo piuttosto in lui il rappresentante di una stagione politica finita nella sconfitta. Intende spostare l’asse a sinistra e ricostruirlo con tutta la sinistra non antagonista. Fatto questo, si dialoga con le altre componenti.
E chi le sembra avere più chances?
Certamente D’Alema. Anche il suo è un sogno, ma è un sogno che incrocia la realtà e soprattutto il sentimento.
Secondo lei Renzi, Bersani e D’Alema hanno fatto i conti con il riassetto del potere globale, che potrebbe portare perfino alla crisi definitiva dell’Unione europea e della moneta unica?
Sperano di impedire che questo accada. Sperano, e tanti con loro a sinistra e non solo, che Trump si mostri così di rottura che prima o poi l’America lo manda via. La realtà è che Trump durerà almeno quattro anni. In ogni caso, il tema è quello della costruzione di una nuova Europa. E su questo D’Alema è più attrezzato.
Che effetto le fa Calenda, che messo a suo tempo da Renzi al governo, adesso per primo tra i ministri di Gentiloni dice che al voto non bisogna andarci?
E’ un’intervista pacata ma di rottura. Calenda ha dato voce a un mondo dell’impresa e della finanza ormai convinto che Renzi sia un pericolo per il sistema politico.
Il monito di Napolitano è stato un fulmine a ciel sereno per Renzi. Gli oppositori duri e puri vi hanno visto solo uno che intrallazza contro il voto.
E’ una diagnosi sbagliata. Napolitano ha parlato a titolo personale, ma sono le parole di un uomo che da 50 anni ha relazioni con l’establishment europeo e il suo è un parere ascoltato. Ha detto quelle cose per incoraggiare Mattarella e coprirgli spalle, per mandare un messaggio alla Germania e all’Europa e perché si è pentito di avere nominato Renzi.
Dunque il voto s’allontana?
Non ci sarà, a meno di un gesto sorprendente di Gentiloni. Se Renzi lo sfiducia dovrebbe andare da Mattarella e dimettersi, ma poiché prima glielo dovrebbe dire al telefono, Mattarella gli direbbe che non ha neppure intenzione di riceverlo…
(Federico Ferraù)