Vendere i beni pubblici per abbattere il debito. E’ questa la strada che il neoministro dell’Economia, Vittorio Grilli, ha intenzione di intraprendere per garantire “15-20 miliardi di euro l’anno pari all’1% del Pil”. In questo modo, ha spiegato in una intervista al Corriere della Sera, sarebbe possibile ridurre il debito di venti punti nel giro di 5 anni. “La spendig review – ha aggiunto – consente risparmi al di là delle cifre di cui si parla in questi giorni. Si possono ancora ridurre le agevolazioni fiscali e assistenziali, intervenire sui trasferimenti alle imprese, le ipotesi sono tante”. Tra queste, la lotta all’evasione fiscale che dovrebbe far ottenere allo Stato “più dei 10 miliardi previsti”. Dopo aver annunciato che il governo farà il possibile per evitare il rialzo dell’Iva, Grilli punta il dito contro Moody’s, l’agenzia di rating che pochi giorni fa ha ridotto di due gradini la valutazione del debito italiano, da A3 a Baa2: “Davano la tripla A ad autentici pericoli pubblici”, ricorda Grilli. “Si sono mosse sempre in ritardo finendo per ampliare gli effetti dei fenomeni, invece di anticiparli, e il dialogo si è interrotto. Oggi ci avvertono quando ormai tutto è deciso, non accettano spiegazioni”. IlSussidiario.net commenta le dichiarazioni del ministro dell’Economia e le future mosse del governo con Claudio Borghi, Professore di Economia degli Intermediari Finanziari presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Come giudica l’idea di vendere beni pubblici per ridurre il debito?
E’ un’idea che non mi trova d’accordo, ma è necessaria una precisazione. L’ipotesi di vendere immobili non è di per sé sbagliata, ma il passato ci insegna che una soluzione del genere non è risolutiva come si può pensare. La proposta ovviamente non è nuova e riproponendola continuiamo a perdere di vista il vero problema del nostro Paese, cioè quello del credito.
Si spieghi meglio.
E’ ormai noto che il mercato non ci fa credito. Di conseguenza, se scegliamo di vendere i nostri asset senza prima risolvere i problemi che stanno alla base, la situazione non potrà mai migliorare. Agli investitori che devono farci credito non interessa se ci liberiamo delle proprietà dello Stato, perché in ogni caso non raggiungeranno mai il valore dello stock del debito pubblico. Così facendo l’Italia si ritroverebbe solamente senza garanzie e con un debito sempre più alto.
Grilli fa male quindi a tirare fuori una simile soluzione?
Come ho già detto, un’idea del genere non è sempre sbagliata. Anzi, lo Stato dovrebbe certamente vendere proprietà sfitte e inutilizzate, ma sono anche dell’idea che non dovrebbe parlarne come se fosse la soluzione di tutti i nostri problemi, perché altrimenti non fa altro che gettare fumo negli occhi.
Dove trovare quindi la soluzione?
Ogni vicenda italiana ruota intorno alla Bce e al fatto che siamo l’unico Paese che, anche se fosse eccezionalmente virtuoso, possiede un debito pubblico non garantito dalla Banca centrale europea. Il nostro debito pubblico necessita quindi una garanzia totale e incondizionata da parte di una banca centrale che molti altri Paesi tra l’altro già possiedono.
Quali sarebbero le condizioni per ottenere una tale garanzia?
Nel caso in cui la Bce garantisse tutti i debiti naturalmente ogni condizione dovrebbe essere definita con cura. Dopo averle valutate, si deciderebbe come agire e, se non dovessero essere soddisfacenti, allora probabilmente è meglio togliere il disturbo e tornare alla nostra vecchia valuta.
Cosa pensa dello scudo antispread?
Da quando è scoppiato il problema del debito pubblico greco continuiamo a rincorrerci con fondi a cui non facciamo altro che cambiare il nome. Ora è la volta del FAFA (Financial Assistance Facility Agreement, nome ufficiale dello scudo antispread ndr) e ci convinciamo che siano soldi piovuti dal cielo, quando invece siamo proprio noi a pagare questi fondi. Come si può pensare che un fondo pagato da vari Paesi come l’Italia e la Spagna possa garantire il nostro debito pubblico? Spero solamente che non ci stupiremo più di tanto quando sarà chiaro che è un’idea che non sta in piedi.
(Claudio Perlini)