“Tra Renzi e un certo mondo di sinistra si è consumato un divorzio insanabile. L’accusa di voler fare un partito personale è però inspiegabile, perché nella tradizione della sinistra italiana, da Berlinguer a Nenni e a Craxi, tutti i partiti sono sempre stati personali”. Lo afferma Peppino Caldarola, ex direttore de l’Unità ed ex deputato dei Ds, a proposito del dibattito in corso nel Pd che vede contrapposte due idee di partito, quella di Renzi e quella della sinistra interna.
Che cosa ne pensa del dibattito interno al Pd?
Renzi vuole cambiare il Pd nel solco della sua anima fondatrice, cioè Valter Veltroni, che pensava a un partito fluido, a vocazione maggioritaria e legato più agli elettori che ai militanti. C’è una parte, che però mi pare minoritaria, che pensa invece ancora al partito tradizionale, quello delle sezioni, degli iscritti e dei militanti. Il vero scontro è fra un sistema politico più vicino a un modello americano e una componente che sogna invece un modello più vicino alla tradizione europea.
Dietro la Leopolda c’è la volontà di Renzi di costruirsi un partito personale, come dice Cuperlo?
I moderni partiti occidentali sono per natura a forte leadership personale. Questa polemica non la capisco, perché anche una parte dei partiti tradizionali di sinistra sono stati a forte leadership personale. Lo erano il Pci di Berlinguer come pure il Psi di Nenni e poi di Craxi. Negli ultimi 20 anni invece nessuna leadership è riuscita a guidare il principale partito della sinistra italiana, attraversato dalla sfida tra D’Alema e Veltroni. Adesso abbiamo la leadership personale di Renzi, che è piuttosto forte perché si avvale della giovane età e del consenso. Non conosco però partiti che non abbiano una leadership personale, e la trovo quindi una polemica inconsistente.
Bersani ha detto che se la Leopolda fosse un’iniziativa del Pd lui sarebbe in prima fila. Lei che cosa ne pensa?
La Leopolda è uno strumento di pressione sul Pd, cioè un modo di organizzare delle forze per premere sul partito e sostanzialmente per decretarne una rapida fine. Noi non sappiamo quale sarà il partito finale cui punterà Renzi. Sappiamo solo che sarà un partito di Renzi, interclassista, inserito nell’area progressista europea e che cercherà di intercettare lo scontento di ambienti del centrodestra e del M5S. Sono esattamente le scelte che si devono compiere per vincere le elezioni, cioè per evitare di arroccarsi nel proprio elettorato e protendersi verso altri elettorati.
La piazza di sabato può innescare dei meccanismi imprevedibili per lo stesso Renzi?
C’è una dinamica in corso di cui nessuno di noi può valutare la profondità, e che è costituita dal fatto che c’è un mondo di sinistra che ha rotto con Renzi. Io non so valutare quanto sia ampio questo mondo che è sindacale ma non solo. Quella che sta maturando è un’altra soluzione politica a sinistra, a prescindere dal fatto che la si chiami o meno scissione.
Che cosa sarà questa nuova soluzione politica?
La si può chiamare in tanti modi, ma è evidente che tra settori della sinistra e del sindacato da un lato e Matteo Renzi dall’altra ci sia un’incomunicabilità. La piazza di sabato può essere il segnale di riscossa di quest’area. Non mi sembra però che quest’area sia elettoralmente molto forte, anche a giudicare dalle esperienze del recente passato. E’ evidente però che tra Renzi e un certo mondo di sinistra si è consumato un vero e proprio divorzio.
(Pietro Vernizzi)