Perché i pm di Palermo ci tengono tanto ad ascoltare Napolitano? Secondo loro, dovrebbe raccontare tutto quello che sa in merito al contenuto della missiva inviatagli il 18 giugno del 2012 da Loris D’Ambrosio, (suo consulente giuridico morto il 26 luglio dello stesso anno). In quel documento, D’Ambrosio manifestava il «timore di essere stato considerato un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi». Napolitano, chiamato come teste al processo sulla presunta trattativa Stato-mafia, ha fatto presente, in una lettera che semplicemente non ha niente da dire. In tutta risposta, il procuratore aggiunto Vittorio Teresi si è opposto all’inserimento di quel testo nel fascicolo del dibattimento, replicando: «La lettera del capo dello Stato non può essere intesa come sostitutiva della testimonianza del teste. La lettera infatti non esaurisce l’argomento da chiarire così come da capitolato di prova». Il commento di Giuseppe Cossiga.
Cosa ne pensa della vicenda?
Credo, francamente, che Napolitano abbia dato l’impressione di voler entrare nel merito delle questioni. Probabilmente, avrebbe dovuto affermare che non testimoniava in quanto capo dello Stato, non perché non sa. Così facendo, si è posto sul livello della magistratura. E i pm, prevedibilmente, gli hanno risposto che, casomai, sta a loro verificare la rilevanza di quello che sa.
E secondo lei, perché ha agito in questa maniera?
Napolitano, in tutti questi anni, ha dato prova di voler e saper difendere in punta di diritto la natura delle istituzioni. Lo ha fatto, nell’ambito della stessa vicenda, facendo sollevare, da parte dell’Avvocatura dello Stato, un conflitto di attribuzioni tra poteri contro la Procura di Palermo che voleva servirsi delle intercettazioni che lo riguardavano. Se non ha perseguito sulla strada inizialmente intrapresa, manifestando la stessa rigidità, credo che dipenda da un unico motivo: in questo singolare episodio, forse, ha lievemente ondeggiato perché coinvolto emotivamente nelle circostanze. Non mi riferisco tanto alla trattativa, quanto al rapporto di stima e amicizia che lo legava a D’Ambrosio. Temo che tale atteggiamento possa prestare il fianco ad un altro rischio.
Quale?
Consentire alla magistratura, un potere che, nella forma e nella sostanza, ha esondato scientemente dai propri argini, di esondare ulteriormente. Vede, qualcuno dice tutto ciò rientrasse nel piano comunista, teorizzato da Gramsci di occupare le “casematte” del potere (la scuola, l’informazione, la magistratura ecc…). Magari fosse così. La magistratura, ormai, non opera di certo per la presa del potere del Partito comunista ma, semplicemente, rappresenta una casta che sfrutta la situazione politica italiana.
Che avrebbe detto Cossiga senior?
Ricordo bene una battuta che era solito fare a Berlusconi: «vai a parlare con Violante, e vedrai che le tue cose si sistemano». Una battuta nello stile di mio padre che, citando un uomo che aveva la sensibilità sia del magistrato che del politico, si riferiva a un mondo in cui la magistratura poteva essere ancora considerata come strumento della politica di sinistra. Un mondo che, ormai, non esiste più.
Alle luce di queste considerazioni, qual è l’obiettivo dei pm di Palermo?
Anzitutto, la presenza del capo dello Stato, darebbe un eccezionale rilievo mediatico al processo, garantendogli ulteriore pubblicità. Inoltre, insistere perché deponga rappresenta l’ennesimo assalto alle istituzioni, volto a incrinare ancora di più quell’equilibrio spezzatosi in seguito alla parziale abrogazione dell’articolo 68 della Costituzione, che prevedeva l’impossibilità di aprire un procedimento penale a carico di un parlamentare senza l’autorizzazione della Camera d’appartenenza.
(Paolo Nessi)