Con l’irruzione della Procura di Trani, evocata dai risparmiatori associati dell’Adusbef, la vicenda del Monte dei Paschi di Siena completa il suo “cast” nel più classico dei modi: odore di mazzette, certezza di buchi, incertezza sull’avvenire, risparmiatori più o meno bidonati (per ora, e per fortuna, in questo caso soltanto i piccoli azionisti che hanno visto il valore del titolo sbriciolarsi).
Le notizie di giornata sono state scarne, e sempre più tenderanno a esserlo nei prossimi giorni, perché – come da copione – in casi del genere l’Istituzione pubblica, sia essa la Banca d’Italia, una Procura, una Consob, “si costerna, s’indigna, s’impegna, poi getta la spugna con gran dignità”. E come nel caso Parmalat ci sono voluti nove anni per arrivare a sentenza, come in molti altre casi giudiziari societari enormi inchieste si sono risolte in fumo, così anche qui l’idea della maxi-stecca politica, addirittura due miliardi su dieci, il 20%, sprigionata dalla scellerata acquisizione dell’Antonveneta da parte del Montepaschi, si ridimensionerà e, con le elezioni, il parossismo politico scoppiato intorno al caso si placherà.
Ma allora cosa resterà, oltre al personale danno di reputazione a carico dell’ex presidente Giuseppe Mussari, dell’ex direttore generale Antonio Vigni, dell’ex direttore finanziario Gianluca Baldassarri? Alcune conseguenze tecniche sono ormai innescate e nulla potrà fermarle:
1 – La Fondazione Montepaschi dovrà presto uscire del tutto dal capitale del Monte, per restituire i propri debiti, e nessuno piangerà, meno che mai le altre Fondazioni bancarie, che per continuare a difendere la loro più autoregolata discrezionalità in fondo sono lieti che “quei matti” di Siena, che delegittimavano l’intero sistema, siano stati puniti dalla storia;
2 – Di conseguenza il Monte dovrà trovarsi un nuovo padrone, che potrà essere lo Stato, se la banca non rimborserà i suoi bond, o un gruppo di nuovi soci, quelli che sta cercando Alessandro Profumo: certo che dipenderà molto dalla politica, e quindi paradossalmente da quella stessa area sociale che ha fin troppo cogestito la banca, attraverso le sue articolazioni locali. Insomma, se un domani toccherà a un eventuale governo di centrosinistra decidere se entrare nel capitale del Monte, avremo il paradosso di un governo Bersani azionista della banca sderenata da anni di sottogoverno Pd…
3 – Le inchieste si concluderanno col discredito personale degli imputati e con pene modeste, come sempre accade in questi ambiti. Tanzi a parte: ma li c’erano 14 mila miliardi di vecchie lire sfilati da troppe tasche per fargliela passare liscia… qui per ora i soldi li ha persi soprattutto la banca, non i suoi correntisti; i suoi azionisti sì, ma limitatamente.
Di strutturale, invece, non cambierà niente: né in termini di miglior vigilanza bancaria, visto che è una materia ormai avocata dall’Europa; né in termini di miglior vigilanza Consob, perché cambiarla significherebbe ammettere che è stata carente; né in termini di minor autocontrollo, perché pare proprio che i sindaci le stranezze poi esplose nei vari buchi di bilancio le avevano pur segnalate…
Spetterebbe quindi alla politica riscrivere alcune di queste regole, per scongiurare o ridurre il rischio del ripetersi di questi fenomeni. Ma la politica forse non vuole, certamente non sa: la materia della finanza strutturata, dei derivati internazionali, dei debiti a strati di cui sono piene tutte le banche è talmente complicata che ci capiscono poco perfino i tecnici. Figuriamoci i politici: ammesso che avessero la voglia, e l’interesse, di occuparsene.