La Sicilia come la Grecia d’Italia. La Regione è a rischio default, per un indebitamento da 5 miliardi di euro e un bilancio che, secondo quanto affermato dal vicepresidente di Confindustria Ivan Lo Bello, si reggerebbe solo grazie a “entrate fantasma”. Per il presidente del Consiglio, Mario Monti, la soluzione può essere una sola: le dimissioni del governatore Raffaele Lombardo e l’invio di commissari prefettizi. In una lettera inviata al presidente della Regione, Monti gli ha chiesto conferma “dell’intenzione, dichiarata pubblicamente, di dimettersi il 31 luglio”. Aggiungendo che il governo “si fa interprete delle gravi preoccupazioni riguardo alla possibilità che la Sicilia possa andare in default a causa del proprio bilancio”. Per Gilberto Muraro, professore di Scienza delle finanze all’Università di Padova, “l’intervento di Monti era necessario in una prospettiva di salvezza nazionale, per evitare il peggio rispetto a una situazione cronica e a un passo dal degenerare”.
Professor Muraro, davvero la Sicilia è a rischio default?
Sul piano economico i nodi vengono al pettine, e non c’è dubbio che la Sicilia sia sempre stata citata come esempio di malgoverno, con un settore pubblico che ha drenato risorse anziché creare valore, distruggendo anziché supportando lo sviluppo economico dell’isola. C’è sempre un passo verso il peggio che conviene evitare, e quindi ha fatto bene il presidente Monti a chiamare il presidente Lombardo alle sue responsabilità.
Lombardo si deve dimettere?
Le eventuali dimissioni di Lombardo non cambierebbero la situazione economica della Sicilia, ma quantomeno mi pare dovuta una riparazione morale. La situazione che si è creata non è colpa soltanto di Lombardo, ma di un malgoverno sistematico. Fa parte della storia della Sicilia repubblicana il fatto che per anni si sia creato pubblico impiego anziché erogare servizi.
In molti hanno accusato Monti di ingerenza nella politica siciliana …
Dal punto di vista strettamente costituzionale, ritengo che non vi sia stata alcuna interferenza da parte del presidente Monti: un suo intervento è previsto in termini di salvaguardia dell’interesse nazionale. Nella Costituzione c’è sempre stata questa clausola di “ultima risorsa” a cui si appella il capo del governo. Ha fatto quindi bene il presidente Monti ad agire come ha agito.
C’è il rischio che la Sicilia si trasformi nella Grecia d’Italia?
La situazione di Palermo è diversa dai conti truccati di Atene, si tratta piuttosto di un sistema di governo che era ben noto a tutti. Il fatto però che si sia aggravato e che sia stato denunciato pubblicamente, dal punto di vista psicologico determina un peggioramento della situazione. Non voglio drammatizzare, ma indubbiamente il nostro Paese di tutto ha bisogno tranne che di una Sicilia a rischio default, perché potrebbe diventare un ulteriore colpo alla credibilità finanziaria dell’Italia. Dato che il problema c’è, l’unica soluzione può essere quella di affrontarlo tempestivamente e con la necessaria fermezza. Di sicuro non aiuterebbe cercare di nasconderlo o di minimizzarlo.
Come si giustifica allora la replica risentita dei politici siciliani?
La Sicilia ci tiene a difendere la sua autonomia e ad allontanare una serie di accuse da cui si sente investita. Mi pare però che la realtà parli chiaro.
La situazione economica della Sicilia rischia di creare un effetto domino?
Ritengo che questi pericoli non debbano spaventare nessuno e che l’intervento, se fatto con mano ferma, non con spirito di revanscismo ma in un’ottica di salvezza nazionale, possa avvenire in un clima non dico sereno ma quantomeno non drammatico. Non è il caso di sottolineare paure di reazioni violente, che impediscano una soluzione che al contrario prima è attuata e meglio è.
Quanto avvenuto può essere un’occasione per rimettere in discussione le Regioni a statuto speciale?
In più occasioni si è espresso rammarico per la mancata presa di posizione di tutto il movimento federalista italiano a questo riguardo. Tra i suoi obiettivi infatti c’era anche la speranza di rivedere i rapporti tra Regioni a statuto ordinario e Regioni a statuto speciale, ma poi non se ne è fatto nulla.
Perché?
Non vi si è riusciti in quanto si è tentato di attuare il federalismo senza una variazione delle leggi costituzionali, che richiede un’intesa più ampia che era preclusa nel panorama politico degli ultimi anni. La spiegazione del perché non lo si sia fatto è quindi semplice, ma è altrettanto facile dire che la delusione è generale in quanto c’è una larga maggioranza che attraverso il federalismo sperava di riscrivere la geografia istituzionale delle Regioni, mettendole tutte su un piano di parità. Le Regioni a statuto speciale si fondano infatti su motivazioni storiche che, forse con la sola eccezione della Provincia di Bolzano, sono oggi ampiamente superate.
(Pietro Vernizzi)