“Con sto affar del sì e del no / molèghe un ponto tuti e do”. Ricorre alla vecchia canzone veneziana “Mariéta monta in gondola” un segretario di sezione leghista del Trevigiano, per invitare Berlusconi e Maroni a “molarghe un ponto”, come dire darci un taglio, sulla questione dell’alleanza sì-alleanza no. A distanza, un concetto analogo, ma in forma molto più cruda, viene espresso da un bloggista del sito padania.org, che alle 11.23 di ieri ha postato questo secco commento: “Maroni l’accordo l’ha già fatto, sta solo facendo melina per tenerci buoni. Lui è ancora convinto che siamo tutti come quelli con lo spadone di legno e le corna, e che abbiamo l’anello al naso. Ma non incanta più nessuno… La Lega è finita e l’errore più grande che può fare è legarsi nuovamente con il nano malefico”.
In realtà, dal quartier generale di Arcore “il malefico” confida di sperare fortemente che oggi si chiuda l’accordo elettorale con il Carroccio.
E via twitter gli fa eco lo stesso Maroni con un messaggio che sembra un’apertura: “Chi è contro Monti è alleato della Lega”. Giochi fatti, dunque, all’insegna di uno scambio Roma contro Lombardia? Sarebbe incauto darlo per scontato. Non si vede infatti come il segretario subentrato a Bossi nella plancia di comando di via Bellerio possa aggirare due ostacoli pesanti come macigni: lo stato d’animo largamente maggioritario di una base che non vuole più saperne di stare insieme a Berlusconi e al Pdl; e la richiesta leghista, ribadita in questi giorni come “conditio sine qua non”, di trattenere in Lombardia il 75 per cento delle tasse versate. Un punto, quest’ultimo, che solleverebbe un’autentica rivoluzione in quel centro-sud che da sempre è un bacino di consensi determinante per il partito del Cavaliere. O l’atavica specializzazione italica nel negoziare riuscirà a scovare una formula astratta ed astrusa che aggiri l’ostacolo?
Ma l’incognita principale è la reazione del popolo leghista, oggi di molto assottigliato rispetto al boom delle regionali 2010. E ancor più, l’impatto su quel vasto elettorato aggiuntivo non di fede strettamente padana, che però tra il 2008 e il 2010 aveva dato il suo consenso al Carroccio nella speranza (ampiamente delusa) di scardinare i vecchi vizi del Paese. Anche perché, in una situazione fluida come l’attuale, è tutt’altro che scontato che Maroni riesca a vincere le regionali lombarde assieme al Pdl: dovrà vedersela con l’ampia adesione alla candidatura Ambrosoli proposta dal centro-sinistra, con l’alternativa rappresentata dal popolarissimo ex sindaco di Milano Albertini, e con le decisioni che prenderà l’ex presidente regionale Formigoni, del tutto contrario a un patto Pdl-Lega. Senza parlare del vasto pianeta degli assenteisti. I comportamenti della quarantina di consiglieri pidiellini e leghisti che hanno banchettato in questi anni con le pubbliche risorse, facendosi rimborsare consumazioni del bar, spazzolini da denti e videogiochi, non rappresenta certo un “assist” elettorale lusinghiero per un Carroccio che alla fine si è rivelato per troppi aspetti simile ai tanto deprecati vizi romani.
Sono tutti fattori con cui Maroni e il suo staff dovranno far bene i conti in queste ore, prima di dare la risposta definitiva a Berlusconi. Se il segretario leghista dovesse perdere in Lombardia malgrado l’alleanza con il Pdl, il contraccolpo per lui rischia di essere politicamente mortale, ridando fiato ai pretoriani di Bossi che non si sono certo incartati la messa in disparte del loro Capo, e che non hanno per nulla digerito il nuovo corso. D’altra parte, la componente veneta del partito (che alle regionali 2010 si è rivelata la più forte, con il suo 35 per cento) ha già ripetutamente manifestato la sua opposizione a un accordo con il Cavaliere, attraverso tre autorevolissime voci: il segretario della Liga veneta Tosi, l’uomo più vicino a Maroni; il governatore della Regione Zaia; il capogruppo in Regione Caner, che di Maroni è il vice vicario. Davvero il segretario potrà comportarsi con il tanto deprecato stile di Bossi, decidere da solo contro tutti?