Il mondo è in cerca di un nuovo ordine finanziario mondiale che consenta di uscire dalla grande crisi in corso e il meeting a Londra dei 20 paesi più importanti è stata un’occasione per delineare le linee di un accordo globale che stabilisca nuove regole globali, non diversamente da quanto accadde a Bretton Woods nel 1944, dopo la Grande Depressione e al termine della seconda guerra mondiale.
L’analogia fra oggi ed allora è del tutto valida per ciò che riguarda la necessità di un accordo globale, solo in parte valida per quanto riguarda la gravità della crisi e infine valida solo in minima parte sulle soluzioni possibili, per il motivo che il mondo di oggi è completamente differente rispetto a quello di allora. Questi sono anche i motivi per cui a Bretton Woods ci si accordò su regole che durarono trenta-cinquant’anni, creando istituzioni che sono tuttora un riferimento centrale nei momenti di crisi, come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, mentre oggi la ricerca di un consenso comune, e con tempi rapidi, appare più difficile.
La situazione oggi è per fortuna molto meno drammatica rispetto ad allora, ma forse questa è anche la ragione per cui alla riconosciuta necessità di nuove regole si frappongono ostacoli maggiori ed un’autentica Babele di iniziative, dalle più circoscritte alle più globali, fra le quali si inserisce il meeting dei G20, ma anche ciò che ormai va sotto il nome di G2 e cioè l’accordo fra Stati Uniti e Cina: il che rischia tuttavia di ritardare l’individuazione di un nuovo quadro di regole condivise sulla cui base uscire dalla crisi e imboccare la strada di un processo di sviluppo mondiale, che prefiguri davvero una nuova epoca di rapporti economici e sociali su scala globale.
Il meeting di Londra ha il merito di aver posto all’ordine del giorno almeno due problemi centrali di questo nuovo ordine: l’inclusione dei paesi emergenti e arretrati all’interno del processo di sviluppo mondiale e la necessità di ritornare a un mondo finanziario fondato su buone regole, disinnescando la mina sempre accesa dei cosiddetti paradisi fiscali, per definizione al di fuori di qualsiasi regola. La decisione di attribuire al Fmi una dotazione aggiuntiva di risorse va iscritta alla provvidenziale consapevolezza del fatto che la grave crisi economica dei paesi emergenti è parte della crisi economica globale, perché se i paesi dell’Est non escono dalla crisi diventa più difficile la ripresa della Germania, dell’Europa e quindi anche dell’Italia. Relazioni analoghe valgono per i rapporti fra Cina, Giappone, Brasile, Stati Uniti ed Europa.
Ma nel corso degli ultimi vent’anni il Fmi non è stato all’altezza delle sue responsabilità mondiali, non per difetto di competenze ma perché la sua struttura di governo è ancora erede del mondo di Bretton Woods. Questo nel passato ha portato a gravi errori, che nel quadro di un crisi globale il mondo non può più permettersi; ed è per questo che una riforma profonda di questa istituzione, congiuntamente alla Banca Mondiale, potrebbe aprire la strada a un nuovo ordine internazionale.
In pari misura l’altra indicazione centrale emersa dal G20, cioè la lotta ai paradisi fiscali, si inserisce nella necessità di un governo responsabile, pacifico e condiviso dell’economia mondiale, il che non è pensabile se accanto alle autorità monetarie nazionali e internazionali, che obbediscono a regole di reciprocità, si affianca un sistema monetario parallelo, che opera su scala mondiale e in modo del tutto autoreferenziale e quindi ingovernabile.
La questione delle regole è centrale: chi vi si oppone chiede più tempo con il pretesto di avere più tempo per scrivere buone regole, come se la crisi finanziaria non fosse già vecchia di due anni e i guasti non fossero chiari. Ma non sarà un compito facile, perché anche solo la più piccola falla di un paese può azzerare lo sforzo di tutti gli altri. Un ulteriore passo in avanti potrà venire dal prossimo meeting dei G8, con la consapevolezza del fatto che l’uscita da questa crisi rappresenta anche l’ingresso in una nuova fase storica dell’economia e della politica.