Cosa c’è dietro “un incontro improvviso e urgente” tra il Capo dello Stato e il Presidente del Consiglio che ha indotto il primo a cambiare la propria agenda anche lasciando un evento a cui teneva tanto? Non bisogna essere dei “dietrologi” per comprenderlo. Non c’è stato un peggioramento improvviso del quadro economico; al contrario, pur se lo spread resta alto le Borse hanno segnato una leggera ripresa. Però, la tenuta stessa dell’unione monetaria (raison d’être del Governo Monti) è stata messa in dubbio due volte nella stessa giornata – la mattina dalla Cancelliera Angela Merkel (“non sono sicura che il progetto euro funzionerà”) e il pomeriggio, a causa della differenza oraria, dal Fondo monetario internazionale in rapporto di routine in cui si parla di “dubbi sulla stessa sostenibilità dell’unione monetaria”.
C’è di più: Fmi, Banca mondiale, economisti e leader politici di molti Stati non credono che l’eurozona sarà la 110ma unione monetaria a dissolversi nell’ultimo secolo; stanno lavorando a un piano per farla restare in vita, cambiandola profondamente. In breve, facilitando un numero di Stati “che non ce la fanno” ad andare ad alloggiare in quello Sme 2 di cui già fanno parte Gran Bretagna, Danimarca, Svezia, Estonia e Lituania. Se all’Italia venisse chiesto di cambiare alloggio – dall’euro allo Sme 2 – non solo finirebbe la raison d’être del Governo Monti, ma, a torto o a ragione, la maggior parte degli italiani penserebbe di avere fatto, dallo scorso novembre, tanti sacrifici per trovarsi con un pugno di mosche in mano.
Andiamo con ordine, circa un anno fa, ha cominciato a delinearsi la strada verso su cui si stava dirigendo la Germania per allestire un “Piano B”, un’alternativa a massicci interventi pubblici per tenere in vita l’euro da parte dei paesi in grado di farlo e dei loro contribuenti. L’occasione era stata fornita da una serie di incontri avuti da uno dei più autorevoli economisti tedeschi (e più stretti consiglieri della Cancelleria), Hans-Werner Sinn, nel corso di un vero e proprio tour nelle maggiori capitali europee (con un seminario a porte chiuse in Banca d’Italia, cui hanno partecipato alcuni economisti italiani non nello staff dell’istituto).
Sinn presiede il CESifo, istituto di ricerca con sede centrale a Monaco ma da considerarsi tra i più autorevoli a livello internazionale, andava in effetti in avanscoperta: prospettava una soluzione per la Grecia – allora considerata il “grande malato” (Irlanda, Italia, Portogallo, Spagna parevano “in sicurezza”) – nella convinzione, rivelatasi corretta, che iniezioni di aiuti non avrebbero curato l’infermo. La soluzione era, essenzialmente, quella di trovare un “percorso ordinato” per evitare che Atene uscisse dall’Ue (o ne venisse cacciata) e far sì che per un periodo cambiasse alloggio: che da inquilino moroso dell’area dell’euro entrasse, con tutti gli onori, nello Sme 2 con tassi di cambio fluttuanti (con margini d’oscillazione differenziati) rispetto all’euro.
La proposta, allora abbozzata, è oggi al centro di documenti che circolano tra le banche centrali e i ministeri economici dell’eurozona. Ad esempio, gli aspetti più strettamente tecnico-economici della proposta sono stati approfonditi in un documento proprio del CESifo dal titolo inequivocabile: “L’eurozona necessita di regole di uscita”. Interessante notare che ne sono co-autori un economista tedesco, Christian Fahrholz dell’Università di Jena, e uno polacco, Cesar Wojcik dell’Università di Varsavia. Difficile pensare che la pubblicazione non abbia avuto almeno un benevolo “nulla osta” nelle capitali della Repubblica Federale e della Polonia.
Il percorso è declinato in dettaglio, sostenendo che in ultima analisi rafforzerebbe euro e (ciò che resterebbe dell’) eurozona. Hal Scott dell’Università di Harvard ha diramato la settimana scorsa un’analisi giuridica molto puntuale (Harvard Public Law Working Paper n. 12-16) su come farlo in modo ineccepibile sotto il profilo del diritto internazionale. Anche uno dei “padri dell’euro”, l’economista belga Paul de Grauwe ha pubblicato un saggio in cui si sottolinea come l’eurozona, nel modo in cui è allestita, porta a oscillazioni degli spread ben superiori a quanto ci si aspetterebbe.
La stessa Banca mondiale (di solito molto cauta nel commentare le faccende europee dato che l’Ue ha ancora il 30% dei diritti di voto e 5 componenti del Consiglio d’amministrazione) ha diramato un Policy Research Working Paper in cui si documenta che l’euro ha aggravato la crisi del debito sovrano in Europa e la recessione di alcuni paesi dell’area. Come se ciò non bastasse, ieri, dall’Università della Svizzera italiana è arrivato un lavoro del loro cattedratico più autorevole di economia monetaria, Alvaro Cencini, in cui, senza mezzi termini, si afferma che all’origine dei mali dell’Italia c’è “una patologia”: il modo in cui è stato allestito l’euro. Senza riforme profonde (non solo dell’Italia ma di come opera l’eurozona), secondo Cencini, non se esce.
Sarebbe puerile pensare che si tratta lavori di studiosi in libertà, che non dialogano fra loro. Il filo rosso che li raccorda è l’ipotesi di Sinn enunciata un anno fa. Allora il problema si sarebbe risolto con un trasloco della Grecia nello Sme 2. Oggi il contagio si è esteso. E non si sa se all’Italia verrà chiesto di non baloccarsi con scudi e scudetti anti-spread ma di essere tra i Paesi che alloggeranno nello Sme 2 sino a quando non si saranno rimessi in ordine. Potrebbe essere la sorpresa di Ferragosto.