La vittoria nei ballottaggi cambia lo scenario a sinistra. Molti osservatori hanno puntato l’obiettivo sul fatto che i due maggiori vincitori, Pisapia e De Magistris, non fanno parte del Pd per concluderne che questo partito dovrebbe essere scontento del voto. Questo ragionamento è polemicamente sterile e non comprende quel che sta accadendo. Proviamo a riassumerlo.
Nel Pd ha vinto Bersani. La sua leadership messa più volte in discussione esce salda dopo i risultati. Non si tratta solo della prevalenza di un uomo, ma l’affermarsi di una linea di condotta. Il passaggio dal partito a vocazione maggioritaria con netta vocazione centrista al partito coalizionale a netta vocazione di sinistra.
Cambia anche l’immagine della leadership. Dopo quella affabulatoria e spavalda di Veltroni e quella giustizialista di Franceschini, si afferma una leadership mite, con forte impronta riformista e grande duttilità tattica. Quelle primarie che appena poco tempo fa sembravano una specie di corsa in salita del segretario contro gli outsider Vendola o Renzi, diventa una gara difficile, ma non impossibile.
Bersani sembra sciogliere i primi nodi che gli si sono aggrovigliati davanti. Tiene aperta la finestra di un governo di transizione con l’unico obiettivo di cambiare la legge elettorale, ma mostra di credere soprattutto al voto anticipato come rimedio alla crisi politica. La proposta di D’Alema su un governo tecnico lo ha visto freddo e poco disponibile. Anche in tema di alleanze sembra prevalere l’idea di puntare tutte le carte sull’asse con Idv e Sel di fronte alla indecisione di Casini e del Terzo Polo. La situazione sul fronte degli schieramenti sembra essere questa.
È un quadro che dovrà fare i conti con i movimenti di opinione. È del tutto evidente che le vittorie di Pisapia e di De Magistris hanno galvanizzato l’opposizione etico-politica. C’è tutto un mondo, che banalmente si definisce radicale, e che comprende aree cattoliche o settori moderati stanchi del berlusconismo, che non accetterà che la vecchia politica e i vecchi dirigenti della sinistra prendano il sopravvento.
Non è un caso che i front runner di Milano e Napoli siano stati due personaggi che si sono presentati contro i vecchi establishment. Bersani ha ottenuto buone notizie dal Nord dove è iniziato il reinsediamento della sinistra e il blocco dell’espansione leghista, ma deve fare i conti con un Mezzogiorno dove prevalgono personalità politiche ingovernabili, da Vendola a Emiliano al nuovo sindaco di Napoli. Finora il Pd non ha offerto nuove leadership meridionali e ha una classe dirigente che viene assimilata a quella dell’altra sponda. Insomma, dopo il voto Bersani dovrà trasformarsi da onesto medico della mutua a coraggioso chirurgo. Vedremo se saprà farlo.