Abbiamo perso. È inutile girare intorno alla questione. La sconfitta è stata netta. E anche se si trattava di elezioni amministrative, che per loro natura hanno come oggetto il governo delle città, anche se la disfatta arriva dopo tre anni in cui il centrodestra ha vinto tutte le sfide elettorali che ha dovuto affrontare, sarebbe un errore minimizzare il dato. Bisogna saperlo leggere e interpretare avendo sempre profondo rispetto della volontà degli elettori.
Secondo me l’esito del voto ci consegna tre insegnamenti. Il primo è che la politica urlata, fondata sulla demonizzazione dell’avversario che diventa un nemico da abbattere in qualunque modo e a qualunque costo, non premia. Anche perché fa venire meno il dibattito sui contenuti dell’azione di governo che sono ciò che veramente interessa ai cittadini.
Il secondo insegnamento è la certezza che esiste in Italia un popolo vivo. Gente desiderosa di essere protagonista nella costruzione del bene comune. L’abbiamo vista all’opera a Milano a sostegno del candidato Moratti, come per Pisapia. Tutta la campagna elettorale, in maniera assolutamente bipartisan, è stata caratterizzata dalla presenza di giovani e adulti che hanno riempito i mercati, le chiese, le piazze. È un elemento di assoluta positività. Un punto da cui ripartire che dimostra, più di qualsiasi analisi sociologica, che il Paese ha voglia di politica.
Il terzo insegnamento è che dal contatto con questo popolo vivo emergono tanti bisogni e domande: le difficoltà delle imprese penalizzate da una burocrazia asfissiante e da un fisco che le vessa; la disoccupazione, specialmente giovanile e degli over 50; le fatiche delle famiglie, che soprattutto in questi anni di crisi si sono rimboccate le maniche. Il nostro compito, oggi più che mai, deve essere quello di elaborare risposte efficaci a questi bisogni. Come? Anzitutto rilanciando l’azione del governo attraverso: una riforma fiscale che metta al centro la famiglia e la persona, una vera semplificazione normativa che elimini lacci e lacciuoli, una lotta all’evasione fiscale che non si fondi sulle vessazioni, un investimento su un sistema educativo e di ricerca che aiuti la crescita.
Qualcuno potrebbe obiettare che non basta una lista di buone intenzioni per cambiare il volto del Paese. Lo so ed è per questo che la mia responsabilità è anzitutto quella di lavorare, nel luogo in cui sono chiamato a operare, perché il centrodestra si muova lungo questa strada. So di non essere solo e credo che proprio l’unità di intenti che condivido con tutti quelli che, insieme a me, sono impegnati nel Pdl, sia l’unica possibilità per intercettare il messaggio che gli elettori ci hanno inviato.
Il percorso non è semplice e di certo non tranquillizza il fatto che il voto amministrativo abbia consegnato il riformismo del Pd nelle mani di forze più estreme che ora dovranno comunque dimostrare con i fatti di saper governare Napoli e Milano. Così come preoccupano certi toni e certe manifestazioni pubbliche che, all’indomani del voto, hanno evocato il 25 aprile e la “liberazione”.
Non vorremmo che a una domanda legittima degli elettori si rispondesse in maniera ideologica e inadeguata. Per questo occorre riprendere in mano il filo della politica e riconquistare quanti hanno mostrato nelle urne la loro frustrazione e la loro delusione.
Credo che la scelta di nominare il ministro della Giustizia Angelino Alfano come segretario nazionale del Pdl sia un importante segnale in questa direzione.