Un no a Padoan e una diffida a Gentiloni. Secondo quanto riportato da Repubblica, nella telefonata di ieri in cui il segretario dem ha invitato il ministro dell’Economia alla direzione prevista lunedì, Renzi avrebbe detto che la manovra correttiva (3,4 miliardi di euro, da mettere a punto entro aprile) non si deve fare. L’ex presidente del Consiglio vuole dissociare nettamente il Pd dall’immagine del partito delle tasse. Non solo. L’altra novità politica della giornata di ieri è una mozione anti-tasse presentata da Edoardo Fanucci (Pd) e sottoscritta da 39 parlamentari renziani che minacciano di non votare l’aumento delle accise su tabacchi e carburanti perché sarebbe un vero e proprio tradimento della politica economica del Pd. L’inizio di una nuova narrazione renziana sul governo allo scopo di prenderne le distanze e sfiduciarlo? Si sa infatti che Renzi non ha abbandonato il proposito del voto anticipato, e questa operazione, se avesse la sua regia, ne sarebbe la conferma.
Lo abbiamo chiesto ad Alfredo Bazoli, deputato Pd. Bazoli è di area renziana, ma chiede subito il congresso.
“Ho visto la mozione, ne condivido alcuni aspetti, non altri, non l’ho firmata. Non voglio credere che sia il tentativo di mettere in difficoltà il governo. Sarebbe controproducente e rischioso, vorrebbe dire che ci danneggiamo da soli”.
Onorevole Bazoli, si deve fare il congresso o si deve votare?
Prima di ogni altra cosa occorre fare il congresso. Questo io l’ho sempre sostenuto.
Per dire cosa?
Siamo in una fase politica totalmente nuova rispetto a quella pre-referendum, occorre dare al paese una proposta politica di lungo respiro che faccia i conti con un contesto politico mutato e complicatissimo.
Con i populismi che avanzano?
Populismi è un termine sbagliato per indicare è la reazione della gente rispetto a una condizione di disagio e di precarietà che avverte. Sono le istanze di milioni di persone escluse. A tutti loro si deve una risposta. Basta la crescita economica? Quello che è successo a Obama è emblematico.
In che senso?
Obama ha guidato il paese per otto anni, in buona parte dei quali ha realizzato una crescita economica spettacolare, facendo uscire il paese dalla recessione. Eppure ha vinto Trump.
Cosa significa per Renzi?
Che non basta dire meno tasse, ammesso di poterlo fare. Ci sono diseguaglianze che vanno affrontate. Come? Il congresso è il luogo deputato ad elaborare una risposta a queste domande.
Lei, renziano, lo dice nell’interesse del segretario del Pd.
Certo. Resto convinto che Renzi è la risorsa migliore che il Pd può mettere a disposizione del paese nella fase politica che si sta aprendo. Ha talento, intelligenza e visione.
Eppure.
Ha due preoccupazioni che non sono infondate. La prima è quella di logorarsi rimanendo troppo tempo lontano dal governo. La seconda è che si vada a elezioni dopo una manovra economica, quella di ottobre, che sarà complicata e difficile perché si devono neutralizzare 19 miliardi di clausole di salvaguardia.
Renzi dice no: vuole votare subito per fare ciò che serve con un governo legittimato e di prospettiva lunga. Soprattutto, per evitare che il costo sociale della manovra venga imputato a lui. Del resto le dichiarazioni di oggi (ieri, ndr) lo dimostrano. Lei cosa risponde?
Che al logoramento non credo. Il tempo da qui al 2018 andrebbe usato bene per costruire una nuova proposta, per rimettersi in sintonia con il paese e per raccogliere le miglior energie che ruotano intorno al Pd.
E la manovra economica?
Comporta un rischio che vale la pena mettere sul piatto della bilancia se serve a fare un programma di ampio respiro. In più, correre a elezioni subito vuol dire arrivarci con una legge elettorale raccogliticcia. Con chi costruiamo una proposta per il paese? Se ci vuole una coalizione, bisogna anche avere il tempo di farla bene.
Circolavano perfino voci di ipotetiche dimissioni di Renzi.
Significherebbe anticipare il congresso e spiazzare gli altri pretendenti alla segreteria. Ma per fare un congresso e non una mera conta, ci vogliono i tempi giusti. Lo dice chi si augura che il prossimo segretario sia Renzi.
Bersani?
Che Bersani porti istanze dotate di una loro ragionevolezza non l’ho mai messo in discussione.
D’Alema?
Mi pare che stia lavorando per rompere, non per unire.
Le motivazioni alla sentenza della Consulta?
La Consulta ha detto giustamente che la politica deve fare il suo mestiere seriamente. La mia convinzione è che si dovrebbe salvaguardare per quanto è possibile l’impianto maggioritario.
Anche con tre forze in campo?
Sì. Il maggioritario può non garantire una maggioranza tranquilla, ma questo non è una ragione sufficiente per non considerare i vantaggi che comporta: oltre all’alternanza, l’indicazione del premier, che va indicato prima del voto e non dopo.
Il Mattarellum era la proposta giusta?
Sì. Univa il Pd, obbedisce a una ragionevolezza politica e consente di modulare la quota proporzionale.
C’è o no il rischio scissione?
L’unità del partito è un bene troppo prezioso per sacrificarlo sull’altare di un’antipatia personale o di una tattica politica. Inoltre, evocare scissioni all’interno del Pd è molto pericoloso.
Chi evoca la scissione è perché chiede un’analisi politica che a suo avviso non si è ancora fatta, non crede?
Certo. Però c’è una schizofrenia in questo: subito dopo il referendum si ragionava di anticipare il congresso, ma la minoranza si mise di traverso perché lo si doveva fare a scadenza. Seconda contraddizione, quando nacque il governo Gentiloni, molti — e tra questi Bersani e Speranza in prima fila — dissero del governo che lo avrebbero valutato di volta in volta, a seconda delle cose che avrebbe fatto. Non si dice questo del proprio governo, le pare? Oggi, invece, Gentiloni ha cose importantissime da fare e deve finire la legislatura…
(Federico Ferraù)