Una cosa è apparsa chiara a chi ha ascoltato con attenzione i due discorsi di mezz’agosto di Sergio Mattarella. Il Capo dello Stato non ha alcuna intenzione di prendere posizione sul referendum costituzionale. Di più: il Quirinale sarà il garante della volontà popolare, qualunque essa sia.
Dal palco del Meeting di Rimini e — il giorno prima — dal paese natale di Alcide De Gasperi, Mattarella si è riproposto come arbitro, e non come giocatore. Garante di un paese che ha bisogno di unità perché “un paese che non sa trovare occasioni di unità, diventa più debole”.
I due discorsi meritano di essere letti insieme: a Pieve Tesino Mattarella ha ricordato come lo statista trentino “volle fermamente il referendum e riuscì a ottenerlo”. E ha ricordato come nel primo discorso dopo la partenza del re, De Gasperi abbia richiamato gli italiani a non accanirsi fra vinti e vincitori, dal momento che il popolo italiano ha deciso il proprio destino. A Rimini Mattarella ha completato il ragionamento, ricordando come la repubblica sia nata da un referendum, “e dunque da un confronto democratico”. Il parallelo fra l’oggi e il giugno 1946 è parso evidente: tocca al popolo attraverso il voto esprimersi sulle nuove regole della convivenza comune. Corollario: compito del Capo dello Stato è di essere al di sopra delle parti, e guardare al dopo.
Non è un mistero che al Quirinale si studino da mesi gli scenari possibili dopo il voto. E che dal Colle sia trapelata l’evidenza che — in caso di una vittoria del No — troppa è la distanza fra il sistema elettorale della Camera, l’Italicum, da quello del Senato, sopravvissuto alla mannaia referendaria. Voto impossibile quindi, e necessità di unità per superare un momento difficile. Quell’unità, appunto, mostrata in tanti altri momenti drammatici, come la ricostruzione, le crisi economiche, la lotta al terrorismo e alla mafia.
Un richiamo forte alla classe dirigente nel suo complesso, quindi, dal momento che — parole di Mattarella — “la democrazia è libertà nel confronto, ed è pure conflitto, ovviamente all’interno dei binari segnati dal diritto e dal rispetto dell’altro”. Non un generico “volemose bene”, sia chiaro, ma un invito al senso di responsabilità, alla pazienza.
Si badi bene: Mattarella non è affatto contrario alle riforme targate Renzi, semplicemente non può esporsi, perché sente forte il dovere di preservare l’istituzione che rappresenta. Si rileggano le parole di Rimini: “La repubblica ha consentito rinnovamento e maturazione… E’ bene tenerlo presente anche per il futuro, dal momento che le democrazie hanno sempre bisogno di essere aperte allo spirito del tempo”.
Alle varie parti politiche il Capo dello Stato racconta che l’agenda dei problemi aperti è fitta e che tante nuove diseguaglianze stanno emergendo. Tutte da affrontare tenendo presente i valori della persona e della solidarietà. C’è l’immigrazione, che non si può risolvere con un “vietato l’ingresso”, c’è il dialogo tra le religioni “che è una necessità storica”. C’è l’Europa, che l’Italia ha il dovere di rilanciare con decisone come prospettiva storica tutt’altro che superata.
Ci sono soprattutto i giovani, che si attendono che la politica non faccia pagare loro il prezzo più alto della crisi economica. Quei giovani che per Mattarella costituiscono l’energia vitale del paese e la cui spinta “vale di più di qualunque indice economico o di borsa”.
Sulla falsariga del magistero di Papa Francesco, il capo dello Stato ha sottolineato la necessità di costruire ponti e non muri. Percorsi di coesione e di sviluppo, e non barriere divisorie anche all’interno della società italiana. Al centro, insomma, il valore della persona umana. Parole che suonano quasi strane nell’epoca dello scontro frontale e delle polemiche senza limite, ma che Mattarella ripete in ogni occasione, convintamente.
Proprio ai giovani il Capo dello Stato ha rivolto un accorato invito a essere costruttori di un futuro diverso e migliore. “Non restate a guardare”, ha detto. Un invito alla partecipazione da protagonisti nella società, ma anche nella politica. E a chi fa politica oggi — parole del discorso in Trentino — il richiamo a essere lungimiranti, a non attardarsi in battaglie di retroguardia.
Forse si tratta di appelli che cadranno nel vuoto, ma sono stati lanciati, e potrebbero venire utili il giorno dopo il referendum costituzionale. Quando il pallino ritornerà al Quirinale, perché dalla scelta popolare tutte le forze politiche dovranno ripartire, cercando di rimettere al centro dell’attenzione quel concetto un po’ demodè di “bene comune”.