Aldo Grasso, senza ombra di dubbi il giornalista di miglior razza nella scuderia del Corriere della Sera (e speriamo non si candidi) nella sua rubrica di domenica scorsa ci ha raccontato di Giancarlo Abete. Questo signore, 62 anni, democristiano di lungo corso, deputato dal ’79 al 92, è dal 2007 presidente della Federcalcio e probabilmente conserverà questa poltrona di notevole potere ancora per un altro mandato, visto che è il candidato più gettonato per le prossime elezioni del 14 gennaio. Che cosa ha fatto per meritarsi la riconferma? Usiamo le prole di Grasso che, a sua volta, cita il procuratore Mino Raiola: “Non è riuscito a portare a casa gli europei, non è riuscito ad aiutare i club a fare gli stadi di proprietà, non ha fatto un solo cambiamento dal basso, dal profondo del calcio, eppure è ancora lì”. Insomma, Abete, per dirla ancora con Grasso, “è il Petrucci del pallone, il classico democristiano per tutte le stagioni”.
Parole sante. Vorrei ricordare a Grasso che però Abete non è solo. Ce n’è un altro che gli assomiglia come una goccia d’acqua, non per niente è suo fratello e si chiama Luigi. Questo secondo Abete è stato presidente della Confindustria, l’organizzazione degli imprenditori. Anche se, per la verità, non ha mai intrapreso molto: era alla guida dell’azienda di famiglia, una tipografia, che lavorava soprattutto su commesse pubbliche che piovevano per amicizie politiche. Poi è stato presidente di Bnl quando comandavano gli spagnoli e ha saputo conservare il posto anche sotto gli attuali padroni francesi di Bnp Paribas. A questa poltrona, dal 2009 ha aggiunto quella di presidente di Assonime, che rappresenta le società per azioni: una carica priva di contenuto che gli consente però di fare comparsate televisive e parlar male dei suoi nemici, aiutare gli amici e salameccare i potenti.
Mi piacerebbe chiedere a Grasso: chi reputa più bravo fra i due fratelli? Giancarlo o Luigi? Secondo me finiscono in parità. E sono amici dei vari Pierferdinando Casini e compagnia, quelli che stanno sempre lì, sempreverdi come i due Abete. E ora si presentano alle elezioni come gli innovatori, gli avversari inflessibili degli inciuci. L’Italia non può fare a meno di persone così.