A occhio, il dato sembra, tutto sommato, confortante: «nei primi sette mesi dell’anno – comunica la Banca d’Italia – il debito pubblico è cresciuto di 84,2 miliardi rispetto alla fine del 2012». Tuttavia, il debito di luglio è stato pari a 2.072,863. Ovvero, 2,3 miliardi in meno rispetto al mese precedente. È sempre Bankitalia a far sapere che tale riduzione è imputabile al «significativo decremento (8,1 miliardi) delle disponibilità liquide del Tesoro che ha più che compensato il fabbisogno del mese (5,5 miliardi)». Contestualmente, il Commissario europeo Ue agli Affari economici, Olli Rehn, ci fa sapere che i nostri dati economici «non sono buoni» e che se vogliamo tornare a crescere ci converrà mirare alla stabilità politica. Abbiamo chiesto a Ugo Arrigo, professore di Finanza Pubblica all’Università Bicocca di Milano, come interpretare la situazione.
Come giudica la riduzione del nostro debito a luglio?
Un notizia apparentemente buona si rivela, in realtà, negativa: il Tesoro ha preferito utilizzare i fondi che ha già a disposizione, depositati presso la Banca d’Italia, perché ha ritenuto che le condizioni sul mercato non fossero favorevoli. Emette, infatti, più titoli di quelli che sono in scadenza solo quando crede che i tassi siano vantaggiosi per lo Stato. Significa, in sostanza, che la percezione che gli investitori hanno del nostro Paese non è buona.
Il Commissario europeo ha detto che i nostri dati economici non sono buoni e che la turbolenza politica rende il quadro ancora più preoccupante.
I dati economici italiani non sono buoni perché abbiamo seguito e stiamo seguendo i suoi consigli e quelli dell’Unione europea in maniera del tutto acritica.
Che consigli?
Abbiamo aumentato la pressione fiscale durante la recessione, affossando così la crescita economica e, di conseguenza, riducendo la base imponibile e le entrate. L’economia reale, quindi, in Italia, va male a causa delle indicazioni europee.
Bankitalia ha fatto, inoltre, presente che il debito, complessivamente, è aumentato per il fabbisogno delle amministrazioni pubbliche (50 miliardi) e per l’aumento delle disponibilità liquide del Tesoro (33,8 miliardi).
Tutto ciò significa non solo che la spesa non è stata tagliata, ma anche che le entrate attese dalle manovre di Monti e di Tremonti, non sono arrivate. Se l’aumento del debito pubblico deriva, fondamentalmente, dagli effetti del fabbisogno, quei 50 miliardi rappresentano il disavanzo di cassa del settore pubblico; ovvero, l’eccedenza della spesa pagata rispetto alle entrate incassate. Non si doveva forse raggiungere il famoso pareggio di bilancio?
Olli Rehn pensa che non riusciremo a restare nel limite del 3% al rapporto deficit/Pil.
Questo, invece, credo che riusciremo a farlo. Le poste di bilancio di possono modificare in maniera abbastanza elastica. Saremmo, tuttavia, riusciti a raggiungerlo senza fare alcune manovra fiscale nel 2011, e lasciando che l’economia tornasse a crescere.
Come si esce da questa situazione?
Agendo, anzitutto, sul settore pubblico e sulla spesa. Non tanto e non solo tagliando, quanto piuttosto dando al cittadino la possibilità di scegliere quali sono i servizi che ritiene migliori al costo minore. In buona sostanza, introducendo nel settore pubblico un principio di concorrenza.
(Paolo Nessi)