In un recente articolo su “Style Magazine” il politologo Ernesto Galli della Loggia ha definito Gianfranco Fini “un homme qui cherche”. Un uomo politico, insomma, alle prese con un percorso di ridefinizione personale complesso, e dunque alla costante ricerca della “migliore combinazione”.
L’immagine, alla luce di quanto accaduto nell’ultima settimana, appare assolutamente perfetta. L’ex leader di Alleanza Nazionale, sostenuto dalle elaborazioni intellettuali di un manipolo di pensatori certamente brillanti, si muove, inquieto, nel mondo delle idee, alla ricerca di una nuova sintesi. Dando anima e corpo all’antico sogno del “superamento della destra e della sinistra”, accarezzato all’inizio degli anni ’90 da quelli che, dentro l’allora Msi, sostenevano il nemico politico di Fini, Pino Rauti. Ironie della storia.
Andare oltre, insomma. Ma anche, da perfetto uomo postmoderno figlio legittimo della cultura dominante, tenere insieme gli opposti. E dunque Fini cerca la sintesi provando a unire anche ciò che, almeno all’apparenza di chi postmoderno non è, insieme fatica a starci.
Il tentativo può essere guardato, naturalmente, come a un’ipotesi interessante nel solco della vera destra, spesso caratterizzata – come ha scritto il politologo Alessandro Campi – “da un registro ambivalente, a volte nel segno della trasgressione, alla ricerca di curiose sintesi ideologiche”. Oppure, giusto per essere ambivalenti fino in fondo, può svelare ancora una volta il trionfo della tattica, della ricerca opportunistica, del gelido calcolo utilitaristico. O ancora peggio, la confusione delle idee.
Per il momento, inesorabilmente, ci si può limitare a sottolineare le contraddizioni insanabili del Fini-pensiero. Basta leggere “Il futuro della libertà” (Rizzoli), l’ultima fatica saggistica con cui l’ex leader di An precisa la sua sfida al futuro (o, più prosaicamente, a Silvio Berlusconi), per cogliere qua e là, nelle maglie del più classico “ma-anchismo” veltroniano, lo stridore di opposizioni logiche che saranno anche curiose sintesi ideologiche, ma insieme faticano a stare. Qualche esempio? Il presidente della Camera vuole rilanciare il sentimento della nazione e il patriottismo costituzionale, “ma anche” generare una prospettiva cosmopolita, senza vincoli geografici o mentali. E poi dice che siamo laici, “ma anche” cristiani. E dice che l’Europa ha bisogno di un’etica laica, “ma anche” che ha fatto malissimo a non descrivere se stessa attraverso il retaggio della tradizione cristiana. Affermazione, quest’ultima, che ha fatto alzare il sopracciglio al laicissimo ambasciatore Sergio Romano, stizzito da quest’ultima resistenza culturale del nuovo Fini.
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Così, a colpi di ambivalenze e convergenze parallele, si arriva dritti alla grande e irrisolta contraddizione: secondo Fini siamo – noi italiani, noi europei – sicuramente cristiani, ma non abbastanza per poter limitare “il diritto di vita e di morte delle persone”, ovvero per mettere un freno alla dittatura dei desideri illimitati in tema di fecondazione, ricerca, eutanasia. Su questo, invece, bisogna essere ancora più laici, in nome e per conto di “un’etica non stabilita per decreto”, di un uomo “che può decidere del proprio destino solo all’interno di una comunità politica” e di una legge “che non invada il terreno dell’autonomia dei singoli”.
Ma il presidente della Camera, gallidellaloggiamente parlando, resta un “homme qui cherche”. E quando le agenzie battono la notizia che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha negato al crocifisso la legittimità a stare appeso sulle pareti delle aule scolastiche, si schiera risolutamente in difesa del “simbolo della tradizione e della cultura italiana”. Anche il web magazine della sua Fondazione “Farefuturo” non ci pensa due volte e senza tentennamenti dichiara: “Il crocifisso in classe è la vera laicità positiva”. Una bella citazione del nuovo guru finiano, Nicolas Zarkozy, e il gioco è fatto. Dimenticando che il Sarkozy regnante, al di là dei proclami elettorali, non sembra voler scalfire lo schema secolare del duro laicismo francese (nessun ruolo pubblico alla religione), non avendo più nulla da eccepire neppure rispetto alla famigerata legge che dal 2003 vieta l’ostentazione anche personale di simboli religiosi (crocifissi al collo compresi) in tutte le scuole pubbliche.
E così, di contraddizione in contraddizione, resta la domanda: chi è il vero Fini? È l’uomo politico in cerca d’autore, lo statista che non rinuncia a pensare la politica anche a costo di sfuggire alle consuetudini? Oppure l’impenitente manovratore, capace solo di battaglie simboliche fatte apposta per recuperare un po’ di feeling con il mondo cattolico, giusto per farsi perdonare quel cattolicamente insostenibile “diritto di vita e di morte delle persone”?