In guerra, come in amore, tutto vale. Anche l’utilizzo del crowfunding, la frontiera della finanza democratica on line che si è mobilitata a favore della Grecia. Chi vuole, può contribuire attraverso il sito alla colletta per raccogliere 1,6 miliardi di euro, tanti quanti ne occorrono per saldare il debito di Atene nei confronti del Fondo monetario internazionale. Per ora hanno risposto all’appello meno di 100.000 persone che hanno raccolto meno di 1,5 milioni euro. L’obiettivo, insomma, è lontano. Ma i sottoscrittori avranno un motivo di consolazione. Chi ha versato 10 euro riceverà in segno di riconoscenza una bottiglia di ouzo più, con una modica aggiunta di 3 euro, una cartolina da Atene con l’immagine di Alexis Tsipras. Con 6 euro si avrà diritto a una porzione di Feta e olive e su su fino al contributo massimo: un milione di euro. Senza contropartite, salvo “l’eterna gratitudine del popolo greco”. Finora non si è trovato un solo volontario super-ricco.
Anche questa mossa originale ed estrema sta a testimoniare, a tre giorni dalla chiamata alle urne, l’enorme valore simbolico che ha ormai assunto il confronto sulla crisi greca. Un duello che va assai al di là, ormai, della pur importante posta finanziaria in gioco: siamo di fronte a un una sfida che riguarda il futuro dell’euro. E non ha torto Angela Merkel quando sostiene che se salta l’euro salta l’Unione europea che, tra dissensi sui migranti, difficoltà sul fronte ucraino e così via, o si trincera a difesa della moneta unica o naufraga. Detto ciò, non si possono nascondere pecche e limiti dei due partiti in campo.
1) Siryza si è giocata in questi 5 mesi molti consensi. A suo favore resiste un argomento forte: la politica dell’austerità imposta ad Atene si è rivelata un disastro. La proposta avanzata dall’Eurogruppo non offre alcuna speranza: il rischio è un nuovo calo del Pil, nell’ordine del 3% (fonte Deutsche Bank) o anche più. Ma la resistenza di Syriza non si è accompagnata ad alcuna proposta costruttiva. Anzi, nel corso del negoziato Yannis Varoufakis e Alexis Tsipras non hanno mai dato la sensazione di puntare ad altro che a una nuova iniezione di quattrini senza alcuna condizione. Nel frattempo sono stati presentati piani campati per aria e solo in apparenza di “sinistra”. Anziché intervenire sull’età di pensionamento o sulle pensioni più alte, Atene ha proposto l’innalzamento dei contributi previdenziali a danno della competitività dell’economia , già colpita dalla richiesta di equiparare il salario minimo dei giovani con i lavoratori più esperti, a ulteriore danno per l’occupazione giovanile. Varoufakis ha poi proposto piani di ammortamento dei debiti fiscali così generosi, ha scritto Carlo Bastasin su Il Sole 24 Ore “da azzerare ogni incentivo a pagare regolarmente le tasse in un Paese in cui l’evasione fiscale è endemica”. Insomma, con tutta la buona volontà, è difficile apprezzare il patchwork un po’ ideologico, un po’ accademico messo assieme da Tsipras. Senza dimenticare che, al di là dell’appoggio delle forze populiste di destra e di sinistra, la piattaforma greca di sicuro non piace affatto alla maggioranza dei tedeschi, degli scandinavi e di buona parte dell’Europa dell’Est.
2) A sollevare dubbi sulla tetragona posizione tedesca è un’indiscrezione di Der Spiegel. La Cancelliera Angela Merkel, spiega l’autorevole giornale tedesco, si è spinta molto avanti nelle promesse ad Atene. In particolare, pur di ricomporre la frattura, frau Merkel si era impegnata a far sì che l’Europa abbonasse 35 miliardi di debiti e in più varasse un immediato piano di aiuti. Non ultimo, era possibile prevedere una nuova moratoria dei debiti verso la Bce che andranno in pagamento dal prossimo 20 luglio. Certo, manca la conferma ufficiale. Ma la sensazione è che qualcosa di vero ci sia stato. Al di là del risultato, emerge l’esistenza di una diplomazia sotterranea pronta a offrire quello che, in via ufficiale, si continua a negare. Per motivi giuridici e di principio i negoziatori europei non hanno voluto affrontare la questione della ristrutturazione del debito, che già oggi non rende quasi niente (i primi interessi saranno pagati dal 2021). L’importante, insomma, è di difendere il principio o, se preferite, il tabù. Così come le regole del Fiscal compact che, di qui al 2017, minacciano di essere il binario morto in cui può fermarsi la locomotiva dell’Europa.
3) I duellanti hanno un punto in comune: non hanno una strategia credibile da lunedì in poi. Vale per Syriza, in caso di vittoria del no (se prevarranno i sì Tsipras farà le valigie lasciando un bilancio catastrofico per le tasche e la pancia dei greci), ma anche per l’Eurogruppo, se la durissima prova non avrà l’effetto di provocare un cambio di rotta. È assai probabile che la riforma dell’Unione europea, così com’è stata congegnata dai cinque presidenti (in testa su tutti Mario Draghi) nasca con un pesante limite: l’obiettivo è di armonizzare le regole e i comportamenti attorno a obiettivi che significano più doveri (ma non più diritti) e nuove incertezze. Facile prevedere che il risultato sarà di favorire nuove opposizioni e nuove svolte centrifughe. O si mobilita l’Europa attorno alla crescita, rilanciando gli investimenti in barba al Fiscal compact, e si fa uso di strumenti espansivi (vedi Bonus sull’occupazione legati all’emissione di eurobond) oppure l’Europa, pur sopravvissuta al Grexit, si schianterà sul Brexit. O chissà su quale altro ostacolo.