Su “L’Espresso” il costituzionalista Michele Ainis ha proposto di reintrodurre per decreto la legge elettorale Mattarella. Dal punto di vista tecnico la proposta è del tutto impraticabile. Da sempre si ritiene che le materie che la Costituzione affida all’approvazione delle Aule parlamentari, compresa quella elettorale, siano precluse alla decretazione. Un vincolo reso esplicito dalla legge 400 del 1988. È vero che si è avuto su qualche aspetto marginale del procedimento elettorale qualche caso di decreto, ma mai sul nucleo duro delle leggi elettorali, sulla cosiddetta formula elettorale, cioè sul meccanismo di trasformazione dei voti in seggi con cui si identifica la nozione costituzionale di materia elettorale, escludendo invece il resto, la legislazione di contorno. Se però persino il professor Ainis arriva a concepire una proposta così estrema e impraticabile vuol dire che dietro c’è un problema effettivo a cui rispondere, sia pure in modo del tutto diverso.
Il problema sta nella divaricazione tra riforme economiche e riforme della governance politica.
Al momento della formazione del Governo Monti all’esecutivo è stato affidato un programma ampio di riforme economiche, connesse al vincolo comunitario. Un programma a cui l’esecutivo è riuscito a rispondere, fermo restando che sull’una o sull’altra delle riforme varate i giudizi sono comunque difformi, anche nella stessa “strana maggioranza” che lo appoggia. Difficile comunque negare che l’azione sia stata più efficace su quei terreni dell’esecutivo precedente e difficile altresì negare che anche altre maggioranze che si sarebbero potute imporre con un voto anticipato al momento della crisi di Governo, avrebbero potuto fare meglio. Di qui l’efficace moral suasion del Presidente Napolitano nel favorire la soluzione Monti con un’ampia maggioranza di sostegno.
Invece sul resto dei problemi senza vincolo comunitario, ma di peso non minore, quelli relativi alla governance politica, il mandato fu affidato alla libera convergenza tra le forze politiche, senza un protagonismo diretto dell’esecutivo. Su di essi, a differenza di quelli gestiti direttamente dal Governo, il bilancio è ampiamente negativo. Tranne una prima riforma del finanziamento dei partiti nessun risultato immediato e non solo sulla legge elettorale: rottura dell’accordo sulla riforma costituzionale, blocco di quelle dei regolamenti parlamentari.
Superare questo diverso bilancio è l’impegno dei prossimi mesi, ben sapendo che sulla riforma della governance politica si dovrà poi intervenire di nuovo in modo più incisivo anche nella prossima legislatura.
Quello che si può fare in materia elettorale e su cui le distanze tecniche non sarebbero affatto insuperabili è di raggiungere una normalità europea su due aspetti: recuperare una visibilità dei singoli candidati non con l’anomalia italiana delle preferenze ma con un mix dei due metodi praticati nelle grandi democrazie, collegi uninominali e liste bloccate corte (pubblicabili anche sulle schede), superare il bipolarismo fondato su coalizioni per affermare quello fondato sul ruolo dei partiti più votati.
Settembre e ottobre possono essere i mesi del riscatto su questo terreno, da completare almeno con alcune riforme regolamentari coerenti, come quella che fa coincidere i gruppi parlamentari con le liste presentatesi agli elettori.
Qui sta la responsabilità di tutti, specie di coloro che più convintamente sostengono il Governo Monti. Anche perché le riforme economiche sono durature e ulteriormente migliorabili e sviluppabili solo se accompagnate dalla riforma della governance politica, che fornisce sul lungo termine gli strumenti necessari per interventi efficaci.