Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera dei Deputati è stato il principale artefice del conflitto di attribuzione sul caso di Eluana Englaro, votato da Camera e Senato ed è stato uno del primi personaggi politici a intervenire sulle agenzie con una durissima presa di posizione poco dopo aver appreso la notizia della decisione della Cassazione di rigettare l’ammissibilità del ricorso contro la sentenza che consente a Beppino Englaro di sospendere l’idratazione e l’alimentazione assistita alla figlia.
Onorevole Lupi, lei ieri ha dichiarato senza mezzi termini: “la Cassazione ha deciso di uccidere Eluana”. E’ tutto finito dunque?
Purtroppo ci troviamo di fronte ad una sentenza gravissima e che costituisce un precedente altrettanto grave: la possibilità che un tribunale decida della vita e della morte di una persona sostituendosi alle leggi del nostro Paese. In Italia, infatti, la legge vieta in maniera esplicita l’eutanasia, cioé il fatto che un terzo determini la possibilità di vita o di morte di una persona. E’ tutto finito? Sembra, per Eluana, di sì: assisteremo alla drammatica morte di fame e di sete di una persona, di una donna. Questa è la situazione in cui ci troviamo.
Lei come giudica l’operato della magistratura in questi anni e, in particolar modo, in questi ultimi mesi sul caso di Eluana Englaro?
Giudicare l’operato della magistratura in questa vicenda vuol dire innanzitutto guardare a cosa siamo di fronte: siamo di fronte all’esproprio di una sua prerogativa da parte di un potere dello Stato ai danni di un altro potere dello Stato, che è il Parlamento. La magistratura non ha il compito di sostituirsi al legislatore: ha, nel nostro ordinamento, il compito di attuare le leggi. In questo caso il tribunale si è arrogato il potere di decidere di sostituirsi al parlamento. Credo che questo fatto sia tanto più grave perché c’è il rischio che si individuino come una sorta di “scorciatoie” per legiferare rispetto all’unica strada possibile in un paese democratico come il nostro, che è quella di seguire un iter parlamentare. Legiferare spetta al parlamento, che essendo eletto dal popolo è il luogo in cui si dibattono e definiscono le leggi di un paese: oggi viviamo invece il rischio di vedere diventare la magistratura braccio armato di una cultura dominante relativista che non accetta le regole della democrazia.
Valerio Onida, presidente emerito della Corte Costituzionale, ritiene che le accuse mosse da alcuni esponenti del centrodestra o del mondo cattolico contro la decisione della Cassazione sul caso di Eluana traggano origine da una “confusione tra il merito della questione Englaro e il tema del rapporto giurisdizione-legsilazione” e sostiene che “Se il Parlamento ha le idee chiare sul fine vita e sul testamento biologico allora faccia la legge e introduca nuove regole”. Cosa ne pensa?
A Onida, che è sempre osservatore attento dei fatti giuridici e costituzionali, forse è sfuggito un piccolo particolare, cioè che innanzitutto ci sono delle leggi vigenti nel nostro Paese che vietano l’eutanasia e che – in secondo luogo – il parlamento sul “fine vita” sta legiferando. Cioè al Senato è aperta una procedura legislativa che vede la Commissione Sanità impegnarsi a fronte di diversi progetti di legge che sono stati presentati nell’elaborare una legge. E’ proprio questo l’aspetto grave che Onida dovrebbe sottolineare: neanche noi vogliamo entrare nel merito della questione Englaro, ma osserviamo con molta amarezza e gravità il fatto che proprio mentre un potere dello Stato stava esercitando le proprie funzioni legiferando su questo tema, un altro potere dello stato, quello giudiziario, gli si sostituisce.
Non sembra dello stesso avviso Paolo Ferrero (Segretario Prc) che ha parlato di una “sentenza di civiltà” ringraziando “di cuore ai giudici della Corte di Cassazione” che ha rispettato “lo spirito di umanità e il rispetto del diritto e delle volontà delle persone che anima l’intera nostra Costituzione”…
Ecco, l’amico ed esimio costituzionalista Onida che prima citava dovrebbe preoccuparsi proprio di dichiarazioni come questa. Dichiarazioni del genere sono la dimostrazione di come un rappresentante di una cultura relativista che non rispetta il diritto alla vita e la dignità della persona, vedendosi nell’impossibilità di usare il giusto e unico strumento per poter affermare le proprie idee e tradurle in legge, che è il parlamento, utilizza impropriamente un altro strumento, che è la magistratura, per affermare queste idee. Non è possibile, né pensabile che una legge possa affermare – perché ciò è contro la Costituzione – il diritto a morire, perché le leggi sostengono sempre e comunque il diritto alla vita e il sostegno alla vita né che un tribunale, che non ha un potere creativo della legislazione possa permettersi di sostituirsi al potere legislativo. Il problema vero, però è solo uno ed è che nel nostro paese sarà permesso che la vita di una giovane donna venga spenta da una morte per fame e per sete. Questa è la cosa davvero più grave.
Crede che questa sentenza sia sintomo di una deriva culturale del paese?
Io credo che nel nostro Paese ci sia ancora una sensibilità culturale che vede il rispetto della vita e la dignità della persona ancora prevalere anche se questa è una responsabilità individuale, di ciascuno. E’ una responsabilità di tutti coloro che vivono un’esperienza in cui la vita e la persona sono qualcosa di “più grande” e che devono essere sempre e comunque rispettati. Queste persone devono capire che hanno una grande responsabilità, cioè quella di testimoniare con il loro impegno e – di più – costruire fatti che testimoniano questo attaccamento e rispetto per la vita, indipendente dalla cultura dominante e da coloro che senza rispettare le regole democratiche vogliono dettare le regole del gioco.
Mons. Rino Fisichella ha auspicato che si arrivi al più presto a “formulare una legge, il più possibile condivisa, perché venga evitata qualsiasi esperienza di eutanasia passiva o attiva nel nostro Paese”. Cosa pensa di questa dichiarazione, e della posizione della Chiesa?
Io credo che a questo punto sia indispensabile e urgente procedere a una iniziativa legislativa da parte del parlamento. Ma questa legge, come tutte e forse più di altre, non deve dimenticare alcuni punti cardine. Anzitutto, la difesa della dignità e del diritto alla vita anche quando questa si va a spegnere: non è, e non può essere considerata, un peso per la nostra società la parte finale di una vita. Anzi, la società deve guardare alla fine di una vita con grande responsabilità, perché questa sia accompagnata, sostenuta e difesa nella sua dignità. In secondo luogo, deve essere chiarito inequivocabilmente una volta per tutte che alimentazione e idratazione non sono cure mediche, sono elementi essenziali (mangiare e bere) per la vita umana. Terzo, l’autodeterminazione come principio per la propria vita e la propria morte non può mai essere affermato per legge e in ogni caso deve essere sempre e comunque garantito – al di là dell’espressione di una volontà che deve essere reiterata – il diritto-dovere del medico a scegliere come e quando curare.
L’Intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà avrà un ruolo particolare in questo dibattito?
Questo confronto aperto a tutti è già approdato nelle commissioni (in particolare la commissione Sanità del Senato) e li si sta svolgendo. Quello che bisogna tener presente è che su questo argomento non tiene la logica dello schieramento ma , al contrario il tema è assolutamente trasversale e in questo senso l’esperienza, lo spirito e i rapporti nati e cresciuti nell’intergruppo saranno una testimonianza. C’è una concezione comune che è trasversale e che è indipendente dal fatto di essere laici o cattolici, di centrodestra o di centrosinistra e da cui tutti dobbiamo partire: la concezione della dignità della vita, del valore della persona, della sua dignità e della sua responsabilità. Ognuno di noi quindi darà il suo contributo come già avvenuto per la legge 40 sapendo che non è uno scontro tra idee diverse ma un lavoro di approfondimento su questi temi
A proposito di questo lavoro di confronto comune, pensa che ci sia una spaccatura nel mondo cattolico sul tema della legge sul fine vita? Se c’è, è superabile?
Io credo che dovremo lavorare tutti insieme per arrivare ad avere una legge il più possibile condivisa e che possa essere una legge sul fine vita per la difesa e la dignità della vita. Da cattolici noi sappiamo che, come è avvenuto per la legge 40 che ho ricordato prima, dobbiamo agire con estremo realismo e per arrivare a ottenere il male minore da questo punto di vista, proprio per evitare che ci sia una deriva eutanasica nel nostro Paese. Credo che sia sbagliata una gara a “chi è più ortodosso”, ma occorre invece una coscienza comune ed agire in maniera responsabile rispetto al nostro ruolo di politici e credenti