“Molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità; poca osservazione e molto ragionamento portano all’errore”. Ogniqualvolta mi capiti di dover affrontare una questione paradossale, mi viene sempre in mente il geniale motto di Alexis Carrel. Gli errori, nella vita, sono sempre dovuti a carenza strutturale di osservazione. Il ragionamento, fin troppo benedetto nei secoli passati, di contro, apre la strada all'”over-thinking”, a quel riflettere maniacale intorno alle vicende e ai nodi dell’esperienza che, alla fine, conduce all’errore.
La vicenda, ormai universalmente nota come “Grexit”, appartiene alla categoria delle realtà da osservare, non da iper-pensare. Anzi, l’eccessiva esposizione del pensiero su questa corposa realtà sta dilatando la paranoia collettiva e, insieme, sta costruendo un bottino di alibi per chi, da vent’anni, sta conducendo l’Europa allo stato di totalitarismo procedurale o “molle”, come direbbe Del Noce. Usciamo da queste dinamiche del tutto contrarie alla ragionevolezza e all’osservazione ben calibrata – siamo nel paradosso non produttivo – e prendiamo la strada della riflessione critica.
1) Che la Grecia sarebbe giunta fino al capolinea storico era cosa ben nota a tutti. Chi continua a tematizzare la vicenda come una specie di redde rationem o di modello teologico legato al das Schulde, al debito che, nel tedesco forgiato nell’universo luterano, diventa anche “colpa” (e quindi senso di colpa da parte di chi venga ritenuto colpevole), fa un’operazione ideologica votata alla mistificazione. Il punto è chiaro e le chiacchiere stanno a zero: tutti sapevano, Draghi incluso, fin dall’inizio, che la Grecia non avrebbe mai potuto reggere il carico di incombenze finanziarie e sistemico-strutturali assegnatele dalla Troika. Le chiamano “riforme”, di fatto sono soluzioni che somigliano al post-crisi di Weimar, un massacro sociale, con esiti di involuzione del Paese probabilmente per decenni. La Germania gioca al massacro sapendo che la realtà non può reggere fino a tanto e conduce questa partita avendo davanti più scenari.
2) Vediamo quali: a) Usa e Germania, ovvero Obama e Merkel, insieme appassionatamente nell’accordo euro-atlantico già fallimentare, a fronte di una spirale deflazionistica negli Usa e di uno stallo sistemico interno all’area europea. Per afferrare meglio la questione, basta visitare ogni settimana il sito del grande economista americano Harry Dent, ce n’è per tutti. Con questo stallo, l’area europea si indebolisce e paradossalmente si regge soltanto sulla Germania che, da sola, sembra vincente, ma vanta e canta la vittoria di Pirro, in un deserto. A questo punto, il problema diventa l’egemonia e qui si fa avanti la questione Putin, legata a doppio filo alla Grecia; b) l’euro è finito, ha dato tutto quello che poteva dare. Durante l’epoca delle bolle speculative e immobiliari, fino al 2007, ha foraggiato gli speculatori e illuso circa la stabilità finanziaria, ora mostra quel che è, ossia uno strumento di cambio a uso e consumo del Forex, ma niente a che vedere con una moneta vera e propria.
A questo punto, chi è più esposto sul versante greco, comincia a tremare, ossia la Germania per prima; c) Tsipras ha giocato la carta referendum in due tempi: primo tempo secco, diciamo no e facciamola finita; secondo tempo: il no è strategico, nel senso che apre una nuova stagione europea e perfino europeistica, per una nuova Europa dei “valori”. Perché questo nuovo tornante? Ovvio: perché Putin sta coprendo il banco dalle speculazioni e Putin vuol dire le casse del Tesoro della Russia piene zeppe di oro fisico, a salvaguardia, modello simil-Gold Standard, non solo del rublo, ma anche delle esportazioni e degli investimenti infrastrutturali di cui la Russia ha molto bisogno. A fianco di questa missione storica di salvezza della Santa Madre Russia da parte di Putin, nello scenario ancora determinato dalle deliranti sanzioni contro il nuovo (e geniale) Zar, c’è il Patriarca di Mosca, Alessio II, personalità di non poco peso spirituale e politico, e tutta la nuova Ortodossia cesaropapista russa, un assetto contro lo stravolgimento dei valori di base, dalla vita al gender per finire ai matrimoni fra omosessuali, voluti dall’Europa e legittimati anche da Obama.
3) In altri termini: Tsipras si sta inserendo in questo nuovo scenario di resistenza all’occidentalismo nichilista di stampo euroatlantico e burocratico, che usa la finanza per strangolare i popoli e svuotarli dei valori tradizionali costituenti e costitutivi. L’esempio della resistenza del governo ungherese guidato da Viktor Orban, al di là del solito chiacchiericcio politically correct, si inserisce in questa nuova corrente che ricongiunge l’Europa alla Russia, passando per la Grecia e provocando anche l’Italia a trovare una strada che non sia il solito renzismo del compromesso al ribasso, sì a questa Europa, ma attenzione alla Russia. Berlusconi sta ritrovando smalto proprio nella cornice di questa nuova dimensione strategica mondiale geopolitica, che fa capo alla Russia di Putin, e questo è solo l’inizio.
4) Cosa sanno i greci di tutto questo? Probabilmente molto poco, nel dettaglio, ma sanno che quel che hanno già visto sin qui porta un solo nome: morte. E anche loro sanno che, se proprio si deve morire, che lo si faccia avanzando – di qui il nuovo paradigma di Tsipras: nuova Europa dei valori -, anziché rinchiusi nelle casematte, strangolati dall’austerità. Ecco, solo a questo punto, dopo la disamina dell’intera vicenda greca, le parole di Nietzsche risuonano profetiche: “Questi genealogisti della morale si sono mai, sino a oggi, anche solo lontanamente immaginati che, per esempio, quel basilare concetto morale di “colpa” ha preso origine dal concetto molto materiale di “debito”?” (Genealogia della morale, 1887).