Auburn Hills, 6 maggio 2014: è il giorno del FCA Investor Day. Davanti a una platea di investitori e addetti ai lavori – ci sono anche delegazioni sindacali da tutto il mondo, comprese quelle italiane – Sergio Marchionne presenta il nuovo piano industriale per i prossimi cinque anni. Secondo quanto viene riferito nel momento conclusivo della giornata, quando in modo più dettagliato FCA comunica gli aspetti dell’andamento e del quinquiennio in oggetto, si tratta di un piano che si aggira attorno ai 55 miliardi di euro da investire dal 2014 al 2018: di questi, circa 10 miliardi verranno spesi in Europa, in particolare 5 per finanziare soprattutto la ripresa dell’Alfa Romeo. Si tenga conto poi della necessità per FCA di far fronte alla concorrenza nelle Americhe (è prevista l’inaugurazione del nuovo stabilimento brasiliano di Pernambuco) e di crescere sul mercato asiatico, in particolare in Cina, con il lancio della Jeep.
È soprattutto il giorno del Biscione, che torna negli Usa dopo quasi vent’anni. L’obiettivo, molto ambizioso, è di arrivare a vendere 400mila Alfa Romeo entro il 2018; l’anno scorso dagli stabilimenti sono usciti solo 73 mila veicoli Alfa. Per quanto riguarda l’intero gruppo, si vuole raggiungere il traguardo delle sette milioni di vetture entro il 2018, dalle 4,4 attuali.
Per recuperare l’antica gloria del Biscione, esaltata un tempo dalle prodezze di Nuvolari e Fangio, nei piani di Marchionne ci sono otto nuovi modelli – la MiTo non avrà eredi, la Giulietta invece sì – con tecnologie e motori sviluppati in Italia. Harald Wester, capo del marchio, spiega che per il rilancio di Alfa Romeo stanno lavorando oltre 200 ingegneri con la consulenza di capi progetto “presi in prestito” dalla Ferrari.
Dalla Jeep ci si attende un’importante performance commerciale: un milione di unità già quest’anno (nel 2013 ne sono state consegnate 732 mila), 900 mila in più nel 2018, che vorrebbe dire fare un +160%. Di queste circa 200 mila arriveranno dall’Italia, da Melfi, dove nasce la piccola Renegade. Presto partirà anche la produzione di tre modelli in Cina, dove gli stabilimenti passeranno da 4 a 10. Dopo gli Stati Uniti sarà l’Asia il secondo “hub” mondiale.
Tocca a Olivier Francois, responsabile del marchio, spiegare le trasformazioni di Fiat. Le previsioni parlano di 1,9 milioni di unità al 2018, 400 mila in più di adesso. Fiat non sarà più un marchio di massa, come confermano i numeri: 700 mila le previsioni per l’Europa al 2018, gli stessi numeri di oggi. L’espansione avverrà in Cina, Nord America e Brasile. Prodotti alla moda derivati dalla famiglia 500 e Panda, in Europa. Confermati anche Freemont, Qubo e Doblò. La Punto c’è, almeno per ora; difficile rivedere vetture come la Bravo o la Croma.
Per quanto riguarda la Maserati, nel giro di un anno, le vendite sono passate da 6 a 15 mila unità, il fatturato da 755 milioni a 1,65 miliardi. L’anno prossimo sarà lanciato il Suv Levante, poi toccherà alla coupé Alfieri e più avanti ci sarà posto per la nuova GranTurismo. Tutto questo porterà Maserati verso le 75 mila unità. Per Fiat-Chrysler, Maserati si sta rivelando un marchio importantissimo, l’anno scorso i margini erano del 10,3%, sopra i livelli dei marchi tedeschi.
Il gioiello di famiglia, la Ferrari, “non è in vendita”. Il “Cavallino” vale più di 4 miliardi di euro e, in questo caso, non ci si aspettano particolari crescite dal mercato: 7 mila macchine l’anno sono sufficienti per mantenere alto il valore del marchio.
L’Europa sarà la base per l’export: il 40% della produzione finirà altrove, sempre che l’industria riparta e torni ai livelli pre-crisi. Nel 2010, all’epoca di “Fabbrica Italia”, Fiat prevedeva (per il 2014) di vendere 2 milioni e 150 mila veicoli. Il conto è stato ben diverso: 930 mila. Per questo il responsabile dell’area Emea è piuttosto accorto con le cifre: 1,5 milioni di unità nel 2018 con 34 nuovi lanci commerciali. La riorganizzazione coinvolgerà non solo le fabbriche, ma anche i concessionari: prevista una riduzione del 15% per quelli Fiat e Alfa.
A tarda serata, quando ormai la presentazione volge al termine, arrivano i dati finanziari del primo trimestre. Fiat-Chrysler ha chiuso con una perdita netta di 319 milioni di euro (utile netto di 31 milioni di euro nel trimestre 2013). Pesa in particolare l’accordo con Uaw siglato da Chrysler il 21 gennaio (315 milioni di euro al netto dell’impatto fiscale), oltre alla svalutazione del Bolivar Venezuelano. Un utile netto di 5 miliardi di euro entro il 2018, con un utile per azione di 4 euro: sono questi i target finanziari per FCA nel piano industriale quinquennale. I ricavi si attesteranno a 132 miliardi di euro al 2018, mentre l’indebitamento raggiungerà il picco nel 2015 a 11 miliardi di euro. Gli investimenti totali di FCA fra il 2014 e il 2018 saranno, come detto prima, di 55 miliardi di euro. Il gruppo Fiat Chrysler conferma gli obiettivi 2014: ricavi di circa 93 miliardi di euro, utile della gestione ordinaria tra 3,6 e 4 miliardi, utile netto tra 0,6 e 0,8 miliardi di euro.
Che dire… Marchionne conferma le intenzioni di investimento che dall’annuncio della fusione con Chrysler (1 gennaio 2014) erano ormai esplicite, anche perché conosciute negli stessi ambienti sindacali visto che la Fim-Cisl e la Uilm-Uil in particolare sono impegnate nel rinnovo del contratto di gruppo; chiaro che questo piano era già per loro cosa nota. Al di là di una certa crescita della produzione, bisognerà vedere come il mercato si comporterà, e le incognite sono diverse: secondo gli analisti, quello europeo pare ancora contratto, quello americano in ripresa, quello asiatico è tutto da capire.
Sicuramente, tuttavia, questa è una giornata importante per la produzione italiana, e in particolare per gli stabilimenti di Melfi, Cassino e Mirafiori: con la crescita di Jeep, Alfa Romeo e Maserati, inizierà un importante processo di riassorbimento dell’occupazione, oggi in gran parte coperta dalla cassa integrazione.