Confcommercio lancia l’allarme: a fine 2011 il livello dei consumi sarà inferiore, per 17 Regioni su 20 – salvo Friuli, Molise e Basilicata – a quello del 2000. Pochi giorni fa, l’associazione aveva fatto presente che, se il governo varerà l’aumento di un punto dell’Iva, i risultati saranno, per il Pil e le imprese, deleteri. «Il rischio di una contrazione dei consumi esiste, ma quella di Confcommercio non è un analisi econometrica precisa, ma fondata sulla difesa di interessi di parte; Confindustria, infatti, a sua volta, si sta battendo per l’aumento», è il giudizio di Marco Fortis, Vicepresidente della Fondazione Edison, interpellato da ilSussidiario.net.
Secondo il sindacato dei commercianti, nel dettaglio, in assenza di una compensazione Irpef, il Pil potrebbe contrarsi anche dell’1%. Ad essere penalizzato, in particolare, il sud, dove la quota dei consumi rispetto al totale nazionale ha subito una contrazione, passando dal 27,2% del 2007 al 26,6% del 2011. Restano positivi gli andamamenti del Nord: si passa dal 21,8% al 22,2% nel Nord-Est e dal 30,1% al 30,6% nel Nord-Ovest. «In ogni caso, al di là delle differenti dinamiche dei consumi che evidenziano una maggiore debolezza delle regioni meridionali», spiega Confcommercio, «va segnalato il tentativo delle famiglie di recuperare i livelli di consumo persi nel biennio recessivo anche se le previsioni per il 2011 sull’intero territorio restano modeste con un +0,8%». Secondo Fortis, sono necessarie, anzitutto, alcune precisazioni: «lo stallo dei consumi non è un fenomeno prettamente italiano ma globale. In alcuni Paesi erano cresciuti, negli scorsi anni, sull’onda dell’entusiasmo delle bolle finanziarie e immobiliari, ma in seguito si sono dovuti ridimensionare drasticamente». Fortis non si riferisce solo alla Grecia e all’Irlanda, dove il crollo è stato catastrofico, «ma anche alla Gran Bretagna e alla Spagna che, negli ultimi 3-4 anni hanno avuto cali dei consumi ben più marcati di quelli dell’Italia: l’Inghilterra di 2 volte, la Spagna di 3». Non è tutto: «assistiamo, adesso – continua -, ad un rallentamento dei consumi sia in Francia che in Germania, proprio i Paesi che avrebbero dovuto rappresentare le nuove locomotive delle ripresa».
Chiarito come l’Italia abbia un problema di lungo periodo, ma non particolarmente dissimile rispetto a quello di altri Paesi, spiega: «ci troviamo di fronte ad una popolazione che non ha la tendenza a indebitarsi né la propensione al rischio e all’eccesso di spesa dei Paesi anglosassoni; per lo più siamo in una crisi mondiale con incertezze di ogni tipo e finanziarie che si abbatteranno sui conti domestici con tasse e prelievi. Quindi, è verosimile che si possa verificare una situazione di stabilità dei consumi». L’impatto dell’aumento dell’Iva ci sarà, certo. Tuttavia, «non modificherà, sostanzialmente, la linea di fondo che mi sembra abbastanza depressa». Fortis è convinto che le previsioni di Confcommercio non siano dotate della necessaria fondatezza. «Per fare queste analisi è necessario effettuare simulazioni econometriche molto accurate e complicate; l’ultimo istituto a fare un’operazione del genere è stato Prometeia, nel suo rapporto di luglio. Aveva immaginato una manovra di rilancio del prodotto interno lordo basata sull’aumento dell’Iva pari ad un punto di Pil (circa 15 miliardi)». E un rialzo atto a garantire entrate pari a un punto di Pil, è molto superiore ad un +1% di Iva.
«Tali maggiori entrate sarebbero dovute servire, nella proiezione, a ridurre gli oneri contributivi delle imprese, abbattendo così il costo del lavoro e generando maggiore competitività, specialmente per le imprese esportatrici». Certo, la proiezione si basava sui dati a disposizione allora; «ora – dice Fortis -, con una duplice manovra ancora più depressiva, probabilmente lo studio di Prometea andrebbe rivisto». Resta il fatto che le conclusioni di fondo rimarrebbero invariate. «Con un aumento dell’Iva di un punto di Pil, il primo anno si sarebbe verificato un leggero calo del Pil pari allo 0,3%, il secondo anno la crescita sarebbe stata uguale a zero, mentre il terzo e il quarto si sarebbe materializzata – per effetto dell’abbassamento strutturale del costo del lavoro, per la maggiore competitività, la dinamica dell’export in crescita e le maggiore occupazione – una crescita dello 0,4-0,5% in più rispetto allo scenario di base». In sostanza: «in un primo momento, la riduzione dei consumi sarebbe stata – ed è tuttora – molto probabile. Ma sarebbe stata compensata dalla riduzione del costo del lavoro che avrebbe portato, a regime, ad un aumento del Pil dell’1,4% annuale».
(Paolo Nessi)