«La crescita non nasce innanzitutto dalle politiche economiche e dalla programmazione, ma dalla valorizzazione dell’io in azione», così il professor Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la sussidiarietà ci introduce ad uno dei temi fondamentali del Meeting, che culmina con la visita odierna del presidente del consiglio Mario Monti.
Da che cosa nasce l’idea della mostra “L’imprevedibile istante. I giovani per la crescita”?
La mostra si colloca sulla scia del lavoro svolto l’anno scorso sui “150 anni di sussidiarietà” che metteva in luce la virtuosa “anomalia italiana”, la capacità di iniziativa di tanti “io” che dal basso e liberamente, motivati da ideali diversi, hanno dato vita a iniziative in risposta ai bisogni personali e di tutti, superando ogni crisi. Oggi vogliamo dimostrare che per rimettere in moto il Paese, prima di ogni politica economica c’è da considerare il soggetto del cambiamento: ogni singola persona che è sempre più grande delle circostanze in cui si trova. E quindi che il motore di un nuovo sviluppo capace di progettare il futuro del Paese non può che consistere nel liberare creatività, desideri, spirito di iniziativa, cioè rispettare il principio di sussidiarietà. Attraverso video, grafiche, animazioni, racconteremo moltissime esperienze nate da “imprevedibili istanti”, momenti in cui dei giovani, nella scuola, in università e nel mondo del lavoro hanno deciso di non lasciarsi trascinare dal flusso delle cose e hanno preso iniziativa seguendo con tenacia e creatività un’intuizione che li ha portati a esplorare soluzioni nuove nell’affronto dei problemi. L’inizio della crescita non è la programmazione, ma la valorizzazione dell’io in azione.
Perché all’incontro di presentazione della mostra è stato invitato il presidente Monti?
Monti è stato chiamato a far fronte a un’emergenza nazionale dopo che il centrodestra non è riuscito né a contrastare la crisi né a fare la rivoluzione liberale che molti auspicavano, sprecando il grande consenso elettorale ottenuto; e il centrosinistra ha più volte fallito per i suoi contrasti interni e il suo vetusto statalismo spacciato per progressismo. Così oggi l’Italia rischia seriamente di andare in serie B, dilaniata dal debito pubblico e dalla mancanza di crescita: il governo Monti sta cercando di invertire la rotta su questi due temi. E a proposito della crescita, credo sia importante che il presidente veda questi esempi di giovani che non si danno per vinti ma sono propositivi e costruttivi e quindi offrono preziose indicazioni sulla strada di un nuovo sviluppo. Vale il detto di Guareschi che abbiamo ripreso nella mostra: “salvare il seme”. Così si innesca un nuovo sviluppo.
Lei che sarà sul palco, cosa dirà al presidente?
Cercheremo di documentare come la strada per lo sviluppo non possa che essere quella della sussidiarietà e che la mancanza di crescita dipende infatti innanzitutto dai troppi lacci e laccioli che caratterizzano il sistema italiano, simboleggiati nella mostra dai “prigioni” di Michelangelo: lo statalismo contro l’autonomia della scuola pubblica e contro la parità delle scuole libere sembra giustificarsi per creare uguaglianza delle opportunità ma finisce in realtà per discriminare i poveri ed è contro il merito. Analogamente, la mancanza di competizione tra università (come avviene nei Paesi anglosassoni) fa si che i soldi siano distribuiti a pioggia, che molte sedi universitarie siano inadeguate e che la selezione sia sul reddito non sul merito (dopo cinque anni dalla laurea i figli dei ricchi fanno i lavori più qualificati). E terzo, nel mondo del lavoro si continua a confondere precariato con flessibilità difendendo altresì i privilegi clientelari di alcuni: così si ostacola l’inserimento dei lavoratori più giovani. In questo contesto vanno collocati gli esempi virtuosi citati, esperienze nate da “imprevedibili istanti” in cui dei giovani hanno deciso di non lasciarsi trascinare dal flusso delle cose e hanno preso iniziativa seguendo con tenacia e creatività un’intuizione che li ha portati a esplorare soluzioni nuove nell’affronto dei problemi. Occorre una svolta sussidiaria e solidale che rompa lacci e laccioli perché il loro esempio diventi un tentativo che contagi tutti.
Qual è il giudizio di questi primi nove mesi di governo Monti?
Sta facendo molto per far ottenere credibilità internazionale all’Italia, con un debito pubblico del 120%, una speculazione finanziaria internazionale contro, partner europei come la Germania che sono tornati nazionalisti come nell’ ‘800, una situazione interna bloccata da gravissime divisioni, lacerazioni, confusione di compiti spesso anche fra istituzioni (vedi ad esempio la questione dell’Ilva di Taranto o il conflitto tra presidenza della Repubblica e giudici di Palermo). Certo, ci sono luci e ombre, c’è troppa resistenza a tagliare la spesa pubblica e alcuni provvedimenti sono troppo statalisti. Ma aspettiamo di vedere cosa verrà fatto ancora.
Nell’attuale governo c’è una discreta presenza di cattolici. Si è sentita la loro presenza?
Sottolineare il ruolo dei cattolici come fanno molti, vuol dire metterli in una riserva indiana e perdere di vista che ciò che conta è la capacità di dare un contributo alla risoluzione dei problemi. E questa è la prerogativa di un buon politico, cattolico o no. Poi sono certo consapevole che una persona di fede è più educata a tenere conto di tutti i fattori, con equilibro, positività, costruttività.
Per il futuro prossimo quale scenario si prospetta e quale auspica?
Io rimango dell’idea che abbiamo bisogno di anni in cui formulare una nuova Costituente e mettere le basi comuni per un nuovo sviluppo, secondo un accordo tra le forze riformiste. Penso infatti che siamo in una emergenza nazionale come nel ’48. La Germania d’altra parte per risollevarsi ha accettato per alcuni anni una coabitazione al governo tra socialdemocratici e democristiani. L’Italia sta andando in serie B, con il rischio di impoverirsi e rendere ancora più drammatica la situazione di quella parte di popolazione già in difficoltà. Mi spaventa che nella prossima competizione elettorale si fronteggino un fronte popolare veterostatalista e così allargato da contenere posizioni davvero inconciliabili e quindi non possono abilitarlo a governare, e un centrodestra senza contenuti che riproponga vecchie personalità e vecchie formule. Senza contare poi le strumentalizzazioni mediatico-giudiziarie. Quando avremo ricreato un assetto tale da competere nel mondo, potremo rivedere il sistema, sperando che non debba esserci imposto da fuori come è avvenuto per la Grecia. E non è una questione di formule, ma di sostanza.
Per quel che riguarda il Movimento, partendo dalla lettera di Carròn a Repubblica, va ripensato l’impegno politico? È vero come dice qualcuno che Cl sta virando verso una scelta religiosa?
La lettera di Carròn ripropone quello che è da sempre lo scopo di Cl: educare alla fede e ricorda quello che Giussani disse all’assemblea della DC lombarda ad Assago nel ’87 cioè che la politica deve avere la funzione di valorizzare le formazioni sociali che nascono dall’iniziativa delle persone per il bene comune. Inoltre ci ricorda quanto Giussani ha detto molte volte fin dal 76: il metodo del movimento è la presenza. Quindi l’errore da non fare è quello di perseguire un’egemonia. In questo senso chi appartiene al movimento e si occupa di politica svolge un suo percorso personale che non identifica il compito del movimento. Questo non vuol dire incidere di meno sulla vita sociale, perché il vero cambiamento avviene “dal basso”, dall’iniziativa e dall’educazione della gente, più che da un impegno partitico. Altro che scelta religiosa!