A che livello, mister Draghi, la Bce giudicherà troppo alto il valore dell’euro? “È difficile indicare un livello preciso, ma è certo che un euro troppo forte in un contesto di bassa inflazione e di attività economica ridotta è causa di gravi preoccupazioni”. Sono le 13:56 quando il presidente della Banca centrale europea risponde così alla domanda di un giornalista dopo il direttorio dei banchieri dell’eurozona. In quel momento la moneta unica sfiora la barriera di 1,40 sul dollaro, a un passo dal confine che potrebbe risultare fatale per l’export comunitario. Mario Draghi, però, non ha ancora smarrito il “tocco magico”: basta l’accenno al “grave problema” del super-euro, materia che, ai sensi dello statuto, esula dalle competenze della Bce e la promessa di interventi robusti, perché la speculazione faccia una rapida marcia indietro.
Dopo pochi minuti, infatti, la moneta unica è tornata a galleggiare poco sopra quota 1,38. Per merito dell’ennesimo coup de theatre del banchiere romano che sorprende i mercati con un annuncio a sorpresa: “Abbiamo convenuto tutti quanti – dice riferendosi all’andamento dell’inflazione e della moneta – sulla necessità di un’azione nel prossimo futuro”. Quanto prossimo? “A giugno, una volta che avremo a disposizione i dati previsionali aggiornati sull’andamento dell’economia”. E, non meno importante, si avranno indicazioni più precise sulla crisi ucraina. Non ultimo, allora si saprà se l’ondata euroscettica avrà sfondato alle prossime elezioni europee oppure no.
Non stupisce che la Bce, alla vigilia di scadenze così rilevanti, abbia deciso come previsto di rinviare all’inizio dell’estate i propri interventi. Semmai, lascia pensare il fatto che il banchiere abbia colto l’occasione per alzare i toni sulla moneta unica: è la prima volta che Draghi usa accenti così forti per evocare il rischio dell’euro forte, un tema cui da sempre è molto sensibile la Francia, ma, almeno finora, non la Germania.
A che si deve la novità? Probabilmente ha giocato un ruolo importante la frenata dell’export tedesco, condizionato più di ogni altro dagli effetti della crisi ucraina: l’embargo verso Mosca finora è stato più psicologico che sostanziale, ma l’incertezza non può durare all’infinito. Ma più ancora ha contato la grande abilità del banchiere romano, capace di muoversi con destrezza di fronte ai due blocchi contrapposti. Ai francesi, che nei giorni scorsi hanno invocato azioni esplicite per abbassare il cambio, Draghi ha risposto con ironia ringraziando per “i preziosi consigli in arrivo da più parti alla Bce che è e resta un organismo indipendente”. Ma ai tedeschi che, parola della Bild, si dicono convinti che “Parigi ha un’insana nostalgia per gli anni Settanta, quando il franco era una moneta ben più debole dell’euro”, Draghi riesce ancora una volta a contrapporre un consenso diffuso, sufficiente a isolare i falchi. E a guadagnare tempo. In vista di cosa?
Al di là dei messaggi più o meno criptici, Draghi sa benissimo che le misure tecniche, tra l’altro assai complesse, che la Bce può mettere in atto nell’ambito di un quantitative easing europeo possono valere assai poco se non interverrà una volontà politica oggi in letargo in attesa del voto. All’apparenza l’eurozona ha molti motivi per rallegrarsi: la crisi finanziaria morde di meno; anche il Portogallo, dopo l’Irlanda, è uscito dal programma di assistenza liberandosi dell’odiata troika; calano i rendimenti dei titoli italiani, spagnoli e perfino greci nei confronti del Nord Europa.
Tutto questo, combinato con la situazione di bonaccia dei mercati finanziari drogati da sei anni di tassi bassi, contribuisce ad alimentare una sensazione pericolosa, cioè quella per cui non sia necessario procedere a quelle riforme di cui l’Europa ha drammatico bisogno per andare avanti sulla strada dell’integrazione. È vero l’esatto contrario, ha ammonito ieri Draghi, consapevole che c’è ancora molta strada da percorrere in salita prima di arrivare in vetta. E che, senza una spinta politica, non solo l’integrazione non va avanti, ma l’eurozona rischia di cadere come un ciclista dalla bicicletta quando smette di pedalare.
Appuntamento a giugno, insomma. Mese del tour de France e, si spera, del debutto di un Parlamento che creda ancora all’Europa.